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Regione Lombardia — Biblioteca Statale di Cremona - Comune di Capralba - BCC Caravaggio e Cremasco - Pro Loco Capralba — Open caption — Home — Alimentato da uMap

Toponomastica di Capralba

di profB

created at 5/25/2022 - modified at 1/4/2025

collegata a: TOPONOMASTICA DI CAPRALBA E FARINATE di VALERIO FERRARI e GIANCARLO SOLDATI (Volume 17° dell'Atlante Toponomastico della Provincia di Cremona, Biblioteca Statale di Cremona e Comune di Capralba, Cremona 2022) La mappa interattiva è stata realizzata da BRUNO MORI utilizzando del volume citato sia i testi delle parti generali che i lemmi del Repertorio Toponomastico che le carte toponomastiche allegate. Anche se il redattore della mappa ha cercato di trasferire i contenuti del libro nella mappa con la massima fedeltà e ha limitato le modifiche ad aspetti pragmatici riguardanti i riferimenti interni, si consideri che l'opera originale è quella a stampa e che la presente è un'opera derivata. La mappa usa come sfondo di default un mosaico satellitare ESRI. In alternativa si può utilizzare lo sfondo OpenStreetMap. Cliccando il pulsante degli sfondi (a sinistra) si apre a destra un pannello con numerosi sfondi possibili: l'OpenStreetMap è il secondo, il satellitare ESRI è l'ultimo. Nei lemmi le fonti archivistiche inedite sono indicate con le seguenti abbreviazioni: Nei lemmi le fonti archivistiche inedite sono indicate con le seguenti abbreviazioni: (A) = Archivio di Stato di Cremona, Fondo catasto, Copia dell'estimo 1685, Capralba (reg. n. 9); Farinate (reg. n. 18); Campisego (reg. n. 7). (B) = Archivio di Stato di Cremona, Fondo Catasto, Comune di Capralba, Dipartimento dell'Alto Po; Comune di Farinate, Dipartimento dell'Alto Po; Comune di Campisego, Dipartimento dell'Alto Po; mappe e tavole, 1815. (AB) = Archivio Storico del Comune di Crema, Archivio della famiglia Benvenuti di Crema. I numeri dei lemmi fanno riferimento al volume stampato. In esso, i lemmi costituiscono un unico gruppo, ordinato alfabeticamente in base a una scelta toponomastica che dà la priorità alla denominazione dialettale attuale, e solo in mancanza di questa utilizza un nome attestato dalla documentazione scritta, in genere italianizzante. I numeri sono stati assegnati in base a questo ordine. In questa carta i lemmi sono stati suddivisi nei diversi livelli, con quello della toponomastica ottocentesca che riprende con qualche diversità quello della toponomastica vivente. I lemmi sono spesso ripresi, ma la denominazione non è quella dialettale vivente ma quella registrata nei Catasti della prima metà dell'ottocento. Poiché il numero non è stato modificato, si genera a volte una sfasatura tra l'ordine numerico e quello alfabetico, che dipende in ultima analisi dalle differenze tra la voce dialettale e quella italiana o italianeggiante. I livelli della toponomastica vivente e di quella ottocentesca sono all'incirca completi. Poiché il livello vivente è sovrapposto al livello ottocentesco, pur vedendosi contemporaneamente i contorni di ambedue i reticoli, le etichette mostrate e, in caso di interrogazione, i popup visualizzati saranno quelli del livello della toponomastica vivente. Se invece si volessero visualizzare etichette e popup della toponomastica ottocentesca, sarà necessario disattivare il livello della toponomastica vivente. Per farlo si deve cliccare sull'icona dei dischetti sovrapposti e in seguito sull'icona dell'occhio accanto al livello che si vuole temporaneamente escludere. Cliccandoci di nuovo esso viene ripristinato. Ci sono due modi per consultare la carta. Il primo consiste nel passare il mouse sulla carta, ottenendo di visualizzare le etichette al passaggio, e nel cliccare sugli oggetti che si vogliono interrogare, facendo comparire il relativo popup. Questo serve per avere informazioni su un oggetto che si è preventivamente individuato. Il secondo modo, utile per cercare degli oggetti che non si sa dove siano localizzati, consiste invece nello scorrere l'elenco degli oggetti contenuti in ciascun livello. Per visualizzare questi elenchi si deve cliccare sull'icona dei dischetti impilati e poi su 'visualizza dati'. Saranno visualizzati gli elenchi di tutti i livelli attivi, mentre quelli inattivi non vengono visualizzati. Cliccando sul nome nell'elenco la mappa si muove ponendo la geometria o il segnaposto a cui esso si riferisce al centro e contemporaneamente si apre sopra l'oggetto il relativo popup. Questo accade senza che si modifichi il livello di zoom, quindi conviene fare questa operazione con un livello di zoom elevato. Non importa che a questo zoom il pezzo in questione si trovi fuori della parte visualizzata della mappa, ci penserà l'applicazione a cercarlo. Presentazione Ancora una volta, con lo studio relativo alla toponomastica del territorio comunale di Capralba, si conferma quanto importanti, istruttivi e coinvolgenti siano gli esiti di una ricerca concreta, eseguita "sul terreno", ma rivolta a un patrimonio di natura immateriale, prevalentemente linguistica, capace di svelare scenari di ordine geografico, sociale, economico, religioso, tecnologico e molto altro ancora di speciale valore e significato, poiché non di rado frutto di processi o di circostanze propri di ciascuna comunità locale non altrimenti documentati. La raccolta dei nomi di luogo o dei semplici appellativi assegnati nel tempo alle diverse componenti di un determinato ambito geografico, come corsi d'acqua, strade, edifici, campi, prati, boschi, unita allo sforzo di riassegnare a ciascun nome il suo significato originario, spesso divenuto opaco, essendone caduto nell'oblio il senso primitivo, nonostante se ne conservi l'uso e se ne pronunci tuttora il suono, esprime sempre un atto culturale di alto profilo. Ancora di più, il proposito di conferire all'intero contesto un ordine ragionato, che consenta di restituire una visione e una comprensione organiche dell'insieme, rappresenta un'operazione attraverso cui scaturisce una storia parallela, il cui perno si sposta nel paesaggio agreste, nel lavoro dei campi, nello sfruttamento dei prati e dei pascoli che la toponomastica rurale di Capralba, di Farinate e di Campisico ‒ ossia delle tre comunità storiche locali oggi riunite in un unico comune ‒ rievoca con particolare frequenza: circostanza che merita di essere interpretata nella giusta prospettiva. Di questa particolare eredità culturale, che accomuna le diverse realtà locali dell'intero territorio provinciale, già in buona parte esplorate e in attesa di essere adeguatamente messe in luce, la Biblioteca Statale di Cremona si propone come punto di riferimento, affiancando alle sue altre e storiche iniziative editoriali anche quella inerente alla toponomastica dei vari territori comunali della provincia, quale prodotto finale delle diverse azioni svolte sul campo, dalla raccolta, allo studio e alla conservazione di un patrimonio prezioso e irripetibile. Un patrimonio in via di rapida scomparsa, a causa delle profonde modificazioni in atto da diversi decenni nelle nostre campagne, del mutato rapporto tra l'uomo contemporaneo e il suo ambiente, nonché del progressivo venir meno degli ultimi testimoni di modalità di vita e di pensiero in disuso, detentori di saperi non più ritenuti produttivi, tra cui si annovera anche la toponomastica rurale di ogni singolo territorio comunale. Un'opera di salvataggio, dunque, ma non certo fine a se stessa, poiché l'ambizione è quella di conservare anche per le generazioni future una raccolta organica di documenti linguistici, ciascuno dei quali compendia storie, immagini, conoscenze di straordinario valore complessivo, ma, nell'immediato, anche di restituire a ciascuna comunità locale, che ne è stata nel tempo artefice e custode insieme, un'eredità culturale e spirituale, un retaggio di sorprendente attualità, se analizzato con occhio curioso, un lascito dal forte valore identitario, per non disperdere ordinamenti e valori che hanno connotato nel tempo ogni singola comunità locale. Raffaella Barbierato Direttore della Biblioteca Statale di Cremona Presentazione Il presente volume dedicato al territorio di Capralba e inserito nell’Atlante toponomastico della provincia di Cremona – il diciassettesimo in ordine numerico ¬‒, arricchisce il nostro patrimonio di conoscenze storiche, sociali e territoriali. È un ampio progetto che ha come obiettivo la raccolta, lo studio e la divulgazione di studi e indagini sulla toponomastica rurale del territorio della provincia di Cremona. Viene qui pubblicato un lavoro scrupoloso e complesso, la cui realizzazione ha comportato una ricerca di informazioni direttamente in loco, riscoprendo i nomi di ogni singolo campo e di ciascun corso d’acqua: termini tramandati da generazioni e raccolti dalla testimonianza di chi ha conservato memoria storica della tradizione orale, ed infine sostenuto da riscontri e notizie custoditi nei documenti ufficiali. Il volume che presentiamo rende ora disponibili a tutti i risultati di quest’indagine preziosa, che rileva un notevole patrimonio toponomastico di oltre 650 occorrenze relative alle tre antiche e distinte località di Campisico, Farinate e Capralba. Patrocinare questa ricerca è, per l’Amministrazione Comunale, una forma tangibile dell’attenzione alla storia del proprio territorio, in cui affondano le radici dell’identità e del carattere di Capralba, un paese rurale di confine tra due stati prima e tra due provincie dopo. Questa pubblicazione è il risultato di un appassionato lavoro di paziente ricerca svolto da Valerio Ferrari e Giancarlo Soldati, partendo da un progetto del 1996 di raccolta dei microtoponimi, degli agronimi e dei più diffusi e comuni appellativi riguardanti il nostro territorio, attività che ha coinvolto gli alunni dell’allora classe V elementare guidati della maestra Maria Alpiani. Certo che lo sforzo compiuto possa servire a definire un quadro più completo della storia della nostra comunità capralbese, rivolgo un ringraziamento agli autori della ricerca, Valerio Ferrari e Giancarlo Soldati, e a quanti, insieme alla locale scuola elementare, hanno collaborato alla raccolta e al recupero dei documenti linguistici contenuti nel presente lavoro, con un particolare riconoscimento alla Biblioteca Statale di Cremona per la pubblicazione e divulgazione che ha inteso dare allo studio. Damiano Cattaneo Sindaco di Capralba Messaggio del presidente della BCC Caravaggio e Cremasco I luoghi, i nomi, la nostra storia, le nostre radici. Il tutto racchiuso nel prezioso lavoro che porta il titolo “Toponomastica di Capralba”. Un’opera che la BCC Caravaggio e Cremasco è ben lieta di sostenere e che rappresenta uno scrigno dal quale attingere preziosi saperi. Un lavoro di ricerca ben iniziato nel 1996 dagli alunni della classe quinta della Scuola elementare di Capralba, guidati dalla maestra Maria Alpiani, proseguito poi con analoga passione e impegno da Giancarlo Soldati, sindaco emerito di Capralba e studioso della storia e delle tradizioni locali, con il coinvolgimento di Valerio Ferrari, rinomato studioso del territorio provinciale. Un volume che ben si completa con la mappa, in cui vengono riportati gli antichi nomi assegnati storicamente ai campi che costituiscono il vasto territorio del comune di Capralba e che ci permette di conoscere ancor meglio il nostro territorio, scoprendo il significato della denominazione di ciascun terreno; oltre a far buona memoria di usi, tradizioni e modi di vivere dei nostri avi, per poter tramandare queste informazioni alle nuove generazioni, così che non vadano perse. La nostra BCC Caravaggio e Cremasco - Cassa Rurale desidera quindi esprimere un vivo ringraziamento agli autori e a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo libro, che costituisce un ulteriore arricchimento del patrimonio storico e culturale di Capralba. Giorgio Merigo BCC Caravaggio e Cremasco - Cassa Rurale Introduzione Di Capralba, Farinate e Campisico, ora aggregati in un unico comune amministrativo, si conosce già molto riguardo alle loro vicende storiche, singole o complessive, alla tradizione, all'assetto territoriale, civile ed ecclesiastico, al lavoro, all'economia, alla società del passato più o meno prossimo. Ne ha scritto con dedizione e impegno in anni recenti Giancarlo Soldati, pubblicando i risultati delle sue ricerche in una serie di volumi ricchi di notizie e di dettagli interessanti (Soldati, 2005, 2009, 2016, 2020). Dunque, per quanto può essere utile osservare in questa sede, sarà sufficiente ricordare che l'attuale comune di Capralba, che dai primi decenni del XIX secolo, riguardo a Campìsico, e dal 1868, riguardo a Farinate, raggruppa in sé i territori appartenenti alle tre storiche comunità, si estende per 13,45 km2, con un prevalente sviluppo in senso meridiano, tra le quote altimetriche di 99 e 83 m s.l.m. Posto all'estremità settentrionale della provincia di Cremona, confina a nord e in parte a nord-est con i comuni di Misano Gera d'Adda e di Caravaggio, appartenenti alla provincia di Bergamo, mentre il rimanente perimetro comunale confina, procedendo da nord-ovest a est, con i comuni di Vailate, Torlino Vimercati, Pieranica, Quintano, Casaletto Vaprio, Campagnola Cremasca e Sergnano. Di questo interessante territorio sono noti alcuni aspetti storici centrati soprattutto su Farinate che, insieme al vicino abitato di Vailate, emerge nella storia come uno degli elementi territoriali strategici nel processo di acquisizione di proprietà fondiarie, quali presupposti di un incentivato popolamento e di un'incrementata attività di sfruttamento e di bonifica di terre già di competenza fiscale, intrapreso dai Giselbertini, conti di Bergamo, in diverse località di quella vasta regione nota come Insula Fulkerii. Nella curtis di Farinate verrà istituito uno dei vari monasteri fondati dai diversi rami di questo nobile lignaggio, la cui esistenza rappresenta un elemento di particolare rilevanza, per un certo periodo storico, rispetto all'importanza rivestita da questo centro abitato e dal suo castrum, dal quale è piuttosto verosimile che si sia in seguito sviluppato, per naturale gemmazione, il centro demico destinato ad emergere e ad acquisire nel tempo un'importanza prevalente, giunta sino ai nostri giorni, ossia Capralba. Ed è anche plausibile ritenere che sin da quei lontani secoli gli interessi economici sviluppati in un territorio come il nostro, di poco agevole gestione produttiva a causa della natura dei luoghi, pervasi dalle acque freatiche tanto sottosuperficiali quanto emergenti, abbiano privilegiato uno sfruttamento di tipo silvo-pastorale, rispetto ad una più limitata, sebbene irrinunciabile, destinazione agraria. Se alcuni fievoli indizi documentari sembrano suggerire questa circostanza è, invece, la toponomastica rurale del luogo a fornire utili e diffusi indizi in grado di confermare scenari di questo genere. Non è certo una novità riconoscere quanto il contesto fisico e ambientale in cui una data località è sorta e si è sviluppata debba essere ritenuto un elemento determinante per capirne la genesi e l'evoluzione successiva. In tale prospettiva uno speciale contributo all'illustrazione di diversi tra gli aspetti che concorrono a delineare la fisionomia di una località, può giungere dallo studio della toponimia di quello specifico luogo, confermando ancora una volta il ruolo di 'scienza ausiliaria' di questa branca dell'onomastica con cui confrontare dati e risultanze evocate o indirettamente lasciate intendere da altro genere di ricerche, di analisi, di riflessioni che possono trovare in uno o più toponimi rilevati in quell'ambito territoriale, conferme, suggerimenti, spunti di approfondimento, di cui vale sempre la pena tener conto. E, in effetti, la toponomastica, in quanto espressione dello spirito umano conforme ai tempi e ai luoghi che l'hanno generata, è spesso l'unico documento ‒ linguistico, innanzitutto ‒ in grado di fornire informazioni o illustrare scenari geostorici che anche la documentazione scritta, specie la più antica, quando esistente, spesso ignora, per i motivi più disparati. Il singolo toponimo e, ancor meglio, l'insieme dei toponimi di una determinata area, se correttamente interpretati e messi nella giusta relazione tra loro e con il contesto ambientale e storico-cronologico in cui sono nati, possono narrare vicende e delineare situazioni in altro modo inesplorabili. La geomorfologia e l'idrografia Nel suo complesso il territorio comunale di Capralba risulta largamente pianeggiante, con debole acclività data da pendenze medie che dal 2,5‰, rilevabili nella porzione settentrionale, scendono intorno al 2‰ in quella meridionale. Pertanto, sotto il profilo morfologico non vi si rilevano forme di particolare evidenza, poiché anche le immaginabili paleomorfologie, senza dubbio più mosse rispetto alla situazione attuale, dovute alla stessa genesi della nostra pianura alluvionale e prodotte per lo più dalla millenaria azione di deposito e di erosione dei fiumi che l'hanno edificata, risultano estesamente modificate, cancellate o mascherate dalla secolare azione dell'uomo che con progressive opere di riassetto morfologico, di bonifica e di regimazione idraulica ne ha plasmato le forme, regolarizzato le superfici, riformato la disposizione generale e incrementato l'attitudine a una produzione agricola sempre maggiore. Ci troviamo sul livello fondamentale della pianura, che definisce l'unità fisiografica più estesa di gran parte della pianura lombarda, in un settore molto prossimo alla linea di incontro e di saldatura tra la vasta conoide del fiume Serio e quella un poco minore del fiume Brembo. I sedimenti più superficiali denotano per la massima parte un'origine fluviale, di età postglaciale-olocenica ‒ iniziata a partire dalla deglaciazione würmiana ‒ che gli studi più aggiornati attribuiscono alla presumibile azione del fiume Serio, le cui periodiche tracimazioni di piena, estese ad un'ampia porzione di pianura alluvionale latistante il corso fluviale, hanno potuto accumulare tali depositi alluvionali (Carta geologica prov. Bergamo). Se nel settore più orientale del territorio comunale questi depositi di competenza per lo più seriana appaiono costituiti da sedimenti generalmente sabbioso-ghiaiosi, con coperture limoso-argillose, non sempre e ovunque continue, nella porzione più occidentale assumono invece maggior importanza le ghiaie con ciottoli in matrice sabbiosa, talora intercalate da lenti argillose, stratificate in depositi di origine fluvioglaciale e fluviale che si presumono appartenere ai bacini del Brembo e dell'Adda, trasportati nel corso dell'ultima avanzata glaciale, che gli stessi studi ritengono iniziata intorno ai 25-20 mila anni fa e terminata all'incirca 12 mila anni or sono. Su questa superficie a morfologia sub-pianeggiante si osserva una serie di lievi avvallamenti ad andamento longitudinale, spesso convergenti ‒ nel cui ambito si aprono diverse teste di fontanile ‒, che rappresentano le tracce di una paleoidrografia abbastanza diffusa e caratterizzata da una morfologia a canali intrecciati (braided), separati da aree poco più ondulate che rappresentano le antiche barre interfluviali. La generalizzata presenza di una falda freatica molto superficiale e vicina al piano di campagna comporta per tutta la vasta area ricadente nella cosiddetta "fascia delle risorgive" l'esistenza di suoli idromorfi, con drenaggio lento o difficoltoso, che solo la secolare opera di prosciugamento e di bonifica ai fini produttivi attuata dalle popolazioni locali ha in parte migliorato o attenuato. Ma in passato tutta questa fascia fu disseminata di aree palustri, di acquitrini, di zone sortumose di cui ci danno talvolta conto le carte d'archivio, in forma diretta o indiretta, ma che ancora la microtoponomastica di questi luoghi, tanto storica quanto attuale, in buona parte conferma. La ricorrenza, in territorio capralbese, di appellativi, agronimi o microtoponimi in vocabolo la Móśa, con i relativi alterati (es. Muśìna, Muśèta), insieme alla località 'Fontanili dei Mosi', in cui si aprono le sorgenti della roggia Cremasca-Comuna, già in territorio di Misano Gera d'Adda, ma a poche centinaia di metri oltre i confini comunali di Capralba, ne sono un palese ricordo. A ciò si aggiunga la straordinaria serie di appellativi, rilevati in territorio comunale di Capralba, scaturiti dalla base làma, con cui si sono sempre individuati i terreni acquitrinosi per loro intrinseca natura, popolati da flora igrofila o decisamente palustre e destinati in modo privilegiato al pascolo, per non essere facilmente coltivabili. Se la documentazione di epoca medievale inerente a tali fenomeni appare al momento del tutto assente per il territorio di Capralba, Farinate e Campisico ‒ accomunando il territorio in esame alla maggior parte del Cremasco storico, desolatamente privo di convenienti fonti d'archivio inerenti ai secoli più antichi ‒ ci rimangono tuttavia interessanti testimonianze relative ai territori contermini o prossimi di Caravaggio e di Fornovo San Giovanni, dove, ancora nel XII secolo si riscontra l'esistenza di mose, onete (ossia alnete: boschi di ontano nero che prosperano in aree palustri permanenti), glaree, insule, qualche dosso, insieme a un fitto reticolo di acque attraversate da guadi (vada), e poi molti buschi e diversi ronchi, a dire dell'opera di progressiva conquista dell'incolto a favore dell'espansione delle terre coltivabili già in corso all'epoca (cfr. ad es. Akty Kr., I, pp. 148-153). D'altra parte anche il territorio di Capralba appare tuttora solcato da un rilevante numero di acque sorgive, la maggior parte delle quali trova la sua origine nell'ambito del comune stesso, andando in alcuni casi ad incrementare le portate di corsi d'acqua provenienti dai territori soprastanti, come nel caso del Rino, che rappresenta senza dubbio il fontanile di importanza maggiore per l'ampia porzione del Cremasco che attraversa, unitamente alle sue numerose diramazioni. Bisogna anche credere che lo scavo dei fontanili più antichi, prima ancora di essere mirato al loro sfruttamento in chiave irrigua, sia stato avviato con lo scopo di bonificare gli estesi impaludamenti che la falda superficiale e le acque meteoriche ristagnanti, poiché non assorbite dal terreno già saturo di suo, mantenevano su buona parte dei territori ricadenti entro la 'fascia delle risorgive'. In pratica la depressione artificiale creata dall'incavo del capofonte rispetto ai livelli di falda circostanti ha l'effetto di richiamare a sé le vene sotterranee nonché i ristagni superficiali, che il cavo del fontanile vero e proprio, susseguente alla testa e realizzato con le opportune pendenze, provvede a smaltire in modo rapido e continuativo. E, infatti, un interessante fascio di corsi d'acqua sorgiva con questo primario compito è qui rappresentato dai fontanili a nome Ora, Oriella, Orietta, Oriola ‒ di cui si illustra l'etimologia più sotto ‒ che scorrono nel settore occidentale del territorio indagato e conservano in parte un andamento fittamente sinuoso, piuttosto evocativo di un assetto naturale solo in parte modificato già dai secoli passati e segnalato ancora da alcuni microtoponimi che ricordano l'esistenza, ad esempio, di una "Lora vechia detta ramella", sostituita in parte dalla "Lora nuova" già prima del 1685, e condotta a solcare un settore diverso di territorio. La roggia Rino, che prosegue il corso della roggia Vallongo, ‒ come viene indicato il tratto di monte decorrente in territorio di Caravaggio ‒ occupa tuttora la traccia di un paleoalveo ben riconoscibile, a ridotta sinuosità, che a monte dell'abitato di Capralba sembrerebbe innestare altre due più brevi solcature di antica origine idrologica, meglio osservabili in territorio di Misano Gera d'Adda, che lascerebbero immaginare un complesso paleoidrografico a rami intrecciati. Pure la roggia Ora scorre in parte in un altro paleoalveo e segnatamente con il suo tratto di percorso più naturaliforme e maggiormente serpeggiante. Diversi appaiono, invece, i tragitti segnati dalle rogge Cremasca-Comuna e Alchina, che attraversano o delimitano il territorio comunale di Capralba con andamento nord-est/sud-ovest e ad alveo rettifilo per tratti successivi, di natura palesemente artificiale, mirato soprattutto a trasferire le portate idriche maggiori, ai fini della dispensa irrigua, in territori posti diversi chilometri più a sud. Anche la roggia Quarantina, che da secoli vede la sua origine nel capofonte posto poco a nord di Farinate, mostra un tracciato per la gran parte artificiale. Si deve presumere, peraltro, che il suo primo tratto di percorso, da qui sino ad Azzano e Torlino Vimercati, sia stato realizzato dopo il 1374, poiché a quella data appare descritta come rozia comunis Creme que appelatur Quarentina, que labitur et extraitur de Aqua Rubea, sita in curia Azani et Turlini, districtus Creme, et labitur et extenditur inferius per dictam campagniam et territorium Creme (Piastrella 1992, 91). Dunque solo successivamente a quella data il suo percorso venne reso indipendente da quello dell'Acquarossa, da cui in origine prendeva vita, e prolungato di circa quattro chilometri verso nord sino alle sue attuali sorgenti, anche forse sfruttando l'alveo di preesistenti altri corsi d'acqua sorgiva. Completano, infine, il reticolo idrografico di questa campagna alcuni bocchelli derivati dai dispensatori principali, vale a dire dalla roggia Cremasca-Comuna e dal Rino che, oltre alla funzione irrigua possono svolgere anch'essi, come la maggior parte dei fontanili, anche quella di assi drenanti rispetto alla falda superficiale. Il quadro territoriale antico Sono le tracce della maglia centuriale romana ad introdurci in una storia territoriale antica, la cui difficile ricostruzione anche riguardo ai secoli medievali, per assenza di documentazione di qualche rilevanza, lascia tuttavia intravedere elementi di presumibile importanza, quantunque eterogenei, che, sebbene al momento disarticolati tra loro, possono ugualmente costituire lo spunto per alcune riflessioni utili ad avviare migliori approfondimenti e ricerche mirate, per quanto possibile. Pur apparendo piuttosto diradate le tracce centuriali ancora oggi rilevabili in questo settore territoriale, specialmente a nord di Capralba, rimane comunque evidente la generale loro omogeneità con l'intero assetto della regione circostante, estesa almeno tra Adda e Serio, mostrando un orientamento dei cardini da NNO a SSE e dei decumani da OSO a ENE. Sono meglio leggibili, in genere, le tracce della seconda centuriazione, cronologicamente collocabile in età augustea (Tozzi 1972, 76-77), che consentono di ascrivere anche la porzione di territorio in esame all'ager bergomensis, i cui confini meridionali si possono riconoscere in un allineamento convenzionale che da Soncino, Romanengo, Offanengo, Izano, Madignano, si spingeva nel settore più occidentale sino alla confluenza dell'antico corso del Serio, ora Serio Morto, con l'Adda (Tozzi 1972, 82). A valle di tale confine iniziavano le pertinenze dell'ager cremonensis, che rispecchia la sua diversa e compatta unitarietà nella differente disposizione delle linee centuriali sue proprie, con i cardini orientati da NE a SO e i decumani da ONO a ESE (Tozzi 1972, 20). Si potrebbe pensare che la più rarefatta presenza di tracce della limitatio, anche talora piuttosto incerte, nell'ambito territoriale indagato in queste pagine, sia connessa con la stessa natura del suolo, che gli effetti della falda freatica, appena soggiacente o, in passato, addirittura emergente in più punti in modo spontaneo, hanno reso per lunghi secoli di difficile governo e praticabilità (cfr. Tozzi 1972, Tav. XI). Come è noto in situazioni di questo genere, come in presenza di boschi, superfici palustri di varia tipologia o bacini allagati, fiumi, torrenti e rii, aree particolarmente sterili poiché ghiaiose, sabbiose o cretose, e così via, la prassi agrimensoria romana prevedeva la loro esclusione dal processo di divisione e di assegnazione ai coloni, divenendo tali aree spazi di uso comunitario, con diritto di pascolo, di legnatico o di ogni altro genere di sfruttamento collettivo (pascua publica), ovvero andando a costituire l'ager compascuus, concesso in uso comune ai proprietari confinanti, magari costituiti dagli abitanti indigeni del luogo (Celuzza, 151-155). Non si può nemmeno escludere, tuttavia, che tale assetto territoriale solo parzialmente centuriato o lasciato in parte incolto, a beneficio degli usuari locali, possa essere il prodotto di un deterioramento di tipo secondario, vale a dire di condizioni instauratesi successivamente alla riorganizzazione agraria del territorio di epoca romana, per possibile abbandono di parte dei luoghi di più difficile o onerosa manutenzione. In ogni caso sembra piuttosto realistico ritenere che l'ostacolo principale allo sfruttamento di queste terre rimase a lungo la persistente e pervadente presenza dell'acqua, in modo naturalmente diffuso, tanto a breve distanza dalla superficie topografica quanto in deciso affioramento. Nell'ambito di questo genere di scenari geografici e ambientali si può verosimilmente credere che siano sorti alcuni insediamenti in forma più o meno aggregata sin dall'antichità, il cui primato, in sede locale, sembrerebbe assegnabile, quantomeno su base principalmente toponomastica, a Farinate e a Campisico. Come si argomenta nel successivo 'Repertorio toponomastico' (cfr. i nn. 146 e 277) all'origine del primo toponimo si potrebbe riconoscere un gentilizio Farinius o Farrinius che, seppur non attestato direttamente, può essere considerato un derivato dei più noti e documentati Farius ovvero Farrius (Sch., 272, 356, 424), in analogia con Farronius (Sch., 192, 272, 356), e indicare quindi un insediamento fondato da una casata appartenente a tale stirpe. In tal caso il suffisso -ate, ritenuto per lo più un elemento indicativo di stirpe o di discendenza, rimanderebbe alla tradizione gallo-romana, giacché nei numerosi nomi di luogo così desinenti ‒ particolarmente frequenti nella Lombardia occidentale ‒ è quasi sempre riconoscibile alla radice un antroponimo di origine romana o celtica (cfr. Rohlfs 1990, 42-43; Top.It., 325). Anche riguardo a Campisico si può osservare come il suffisso -icus sia ritenuto, nella gran parte dei casi, indicativo di toponimi di origine gallica o gallo-romana, sorti in aree geografiche a prevalente sostrato celtico, la cui natura di prediale sottintende, in genere, una matrice antroponimica. Pertanto alla sua base si potrebbe postulare un nome personale individuabile in un presumibile Campisius ovvero Campesius, non noto finora per l'epoca romana, anche tarda, (ma attestato, in entrambe le grafie, come soprannome o cognome di epoca medievale), che si può, comunque, ritenere una prevedibile derivazione del gentilizio Campius, al pari dei meglio documentati e analoghi Campasius e Campusius (Sch., 115; Thll.Onom., II, 127-128). Non v'è dubbio, in ogni caso, che il centro demico di maggior importanza, per il territorio in esame, sia stato a lungo, e sin dall'alto medioevo, Farinate. Il toponimo compare per la prima volta, a quanto sinora si sappia, nell'anno 919 quale luogo di provenienza dei fratelli Ragimundo et Giselbertus de Farinate, testimoni, nel novembre di quell'anno, insieme a molti altri personaggi d'alto rango ‒ anch'essi contraddistinti dai luoghi di provenienza, peraltro non lontani da Farinate, come Vailate, Pregiate, Casirate, Bariano, Carpeneto ‒, in un placito celebrato a Bonate Sopra e presieduto dal vescovo di Cremona, Giovanni, da Giselberto (si tratta di Giselberto I), vassallo e messo dell'imperatore e da Suppone, conte di Bergamo (Perg.Bg., I, 102), il che lascia presumere una possibile precoce relazione tra la nascente dinastia dei Giselbertini e la nostra località. Tuttavia è nell'anno 970 che Farinate, entra (o ritorna) a far parte dei beni di Giselberto II, conferitigli da Ottone I, dopo averli confiscati al conte Bernardo di Pavia che li possedeva ex parte uxoris sue (ossia la moglie Rotlinda, figlia illegittima di re Ugo di Provenza) insieme ad altre nove curtes, tra cui quella di Piveningum (forse Pianengo; cfr. Schiavini Trezzi 1990, 7-8) e quella di Vailate, con cui i Giselbertini dovettero avere forti legami già da tempo, poiché il figlio di Giselberto I, Lanfranco, è definito de vico Vagilate (CDLang., col. 1552). Restituiti al conte Bernando da Ottone II, nel 976, i beni confiscatigli sei anni prima dal padre, non pare in ogni caso che le curtes bergamasche, tra cui Farinate e Vailate, uscissero dalla sfera di potere dei Giselbertini poiché di fatto rimasero nelle loro mani (Menant 1992, 52-53). Anche in questo luogo, dunque, come succedeva per ogni ramo della dinastia, venne fondato ben presto un monastero, con finalità, oltre che di prestigio dei fondatori e di radicamento nel territorio, anche di interesse patrimoniale, allo scopo di non frazionare i beni fondiari di un lignaggio divenuto numeroso. Si tratta del monastero femminile di S. Fabiano, fondato forse già nel secolo XI da qualche esponente dei conti Giselbertini con l'intervento di alcuni loro vassalli locali, e annesso alla chiesa parimenti intitolata, che veniva offerta alla Santa Sede dai figli e dai nipoti di Arduino III nel 1114, di cui sono abbastanza note le vicende (cfr. Menant 1979, 31; Zavaglio 1991, 49-57). Il complesso monastico, unito alla chiesa di S. Fabiano, secondo quanto enunciato dalla bolla di Pasquale II del 1114, era stato eretto in fundo vestro qui Castellum vetus de Farinate dicitur (Lupi, II, 885-886), vale a dire in un terreno, di proprietà dei fondatori, dove era preesistito il vecchio castello del luogo che ancora denominava il terreno individuato e dove si può presumere che rimanesse una parte delle antiche strutture fortificate. D'altra parte risulta abbastanza ricorrente, al tempo, questa particolare pratica di fondare e alloggiare chiese e monasteri nel luogo già in precedenza occupato da un castello ormai caduto in disuso, come succedeva, ad esempio in sede locale, anche a Ombriano dove la capella consecrata in honore sancti Petri… cum cimiterio che Giselberto IV donava nel 1079 al costruendo monastero di S. Paolo d'Argon è detta giacere infra castrum qui fuit de Umbriano (Breul, IV, 658). Dunque se ne deduce che all'epoca dovesse esistere a Farinate un altro castello più recente, forse lo stesso castrum in cui, nel 1087, il conte Giselberto IV, filius quondam Maginfredi (ossia Maginfredo II), itemque comes de comitatu Bergamo, stipulava due atti di vendita di terre da lui possedute in quel di Almenno, entrambi redatti infra castro Farinate, feliciter (CDLM, Area bergamasca > Bergamo, Pergamene aa. 1059(?)-1100, nn. 159, 162). L'atto di donazione, a favore della chiesa di S. Pietro di Roma, oltre alla ecclesia sancti Flabiani que est edificata in loco Farinate ubi dicitur Castro Vetero, includeva pure la dotazione patrimoniale già propria dell'edificio sacro, che veniva così specificata: cum omnibus universis rebus territorii que ad ipsam ecclesiam pertinere videntur: pratis, passculis, vineis, silvis ac stalareis et roboretis et cum omnibus onoribus quos ipsi donatores habent in ipsa ecclesia (Antonucci, 179). La formula usata si discosta un poco da quelle più consuete in uso nei documenti dell'epoca, poiché nomina esplicitamente solo i prati, i pascoli, le vigne, le selve, i boschi cedui e i querceti, ossia superfici destinate soprattutto al pascolo caprovino, alla produzione di foraggio, probabilmente all'allevamento suino allo stato semibrado nei boschi di querce, alla fornitura di legname e così via. Non si nominano, come era prassi comune e come ci si aspetterebbe, le terre arabili, le acque e il loro uso, i mulini e i canali di alimentazione, i diritti di accesso ai fondi e altro ancora. In ogni caso il breve elenco può tracciare un quadro ambientale dei luoghi abbastanza evocativo, seppur in modo generico. Interessante, a tal proposito, sembra il divieto ‒ sancito da papa Innocenzo II nel 1130 a favore della badessa Beatrice, e ribadito nel 1169 da Alessandro III a favore della badessa Taide ‒ rivolto a chiunque, di esigere le decime sui novalia del luogo, coltivati direttamente o a spese delle monache ‒ vale a dire sulle terre progressivamente strappate all'incolto (boschi, paludi, ristagni, terre sterili, zerbi, ecc.) ‒, nonché sulle pasture destinate al bestiame (cfr. CDLaud., I, 122-123, II/I, 55-56): il che, se da una parte tradisce l'attualità dell'opera di parziale bonifica e di graduale dissodamento e accolturamento delle superfici ancora selvatiche e incolte in corso a quel tempo, dall'altra lascia trasparire un particolare interesse per l'allevamento zootecnico, di cui riparleremo fra poco. Pur appartenendo senza dubbio al monachesimo benedettino, non si può escludere che in seguito questo monastero avesse aderito alla riforma cluniacense. Il fatto che in un privilegio di papa Callisto II del 1120 (riconfermato nel 1125 da papa Onorio II), con cui si accoglieva sotto la protezione della Santa Sede il monastero cluniacense di S. Paolo d'Argon ‒ che, detto per inciso, fu fondato dal conte Giselberto IV ‒ si elenchino, tra le numerose chiese ad esso soggette, tra cui S. Pietro di Ombriano, la SS. Trinità di Crema, S. Maria di Cremosano e S. Pietro di Vailate, anche le ecclesie sancti Nicolai de Farinate, sancti Fabiani et sancti Martini cum omnis pertinentiis earum (Lupi, II, 907, 923), sembra suggerire la possibilità che anche il monastero di S. Fabiano, annesso all'omonima chiesa, potesse seguire la regola di Cluny, forse abbracciata in una fase successiva rispetto alla primitiva fondazione. Del resto anche la stessa abbazia di Cluny era stata posta dal suo fondatore sotto la diretta protezione della Santa Sede. Nel 1169 il monastero di S. Fabiano fu associato al correlativo monastero di S. Damiano di Dovera, entrambi sotto la guida della badessa Taide. E poiché nel Liber censuum Romanae ecclesiae, redatto nel 1192, tra gli enti chiamati a pagare il censo alla Chiesa di Roma ubicati in episcopatu Bergomensi, appena dopo il Monasterium de Dovaria si nomina l'Ecclesia Sancti Fabiani, cellula ipsius, se ne deduce che sin d'allora il cenobio di Farinate era considerato una piccola cella, ossia una dipendenza di quello di S. Damiano (cfr. Fabre, 107; Horoy, 521). Nonostante il monastero di Farinate ritrovasse per un breve periodo una parziale autonomia, ritornò ad essere aggregato a quello di Dovera qualche decennio dopo (Lasagni, 135; ma cfr. anche Molossi, 12). Infine, nel 1489, mentre un gruppo di monache di S. Fabiano si trasferì a Crema, giungendo a fondare il monastero di S. Maria Mater Domini (Terni, 235; Lasagni, 78), un secondo contingente passò, forse sin dal 1459 secondo Menant, in quello di S. Pietro di Treviglio ‒ la cui originaria chiesa era una dipendenza del monastero di S. Fabiano sin dal 1125 ‒, che beneficiò a lungo anche delle proprietà fondiarie di Farinate (cfr. Menant 1979, 31; Lasagni, 135). Ancora nel 1685, infatti, l'estimo veneto di Farinate censiva un discreto numero di fondi di proprietà del "Convento delle Monache di Treviglio", ossia i campi a nome: li Pascoli, il Bandinello, il Ronco, boschina, il Ponzoletto, il Poncello, il Fontanone, li Campazzi in due quadri, il Campazzo, il Monastero, la Gogirola, il Gogirolo grande, il Pradello, il Campo del Molino, il Campo delle viti, il Campo Bernardo, il Prato delle valli, il Campo becco, la Pedria, le Frangiette, il Campo di domà, il Campo di sera, sedume, case sopra detto sedume, il Brolo, il Traversino, il Malgherotto, la Ceresola, il Campo menuto, il Bazolo, la Guarda, il Nocito, la Magella, la Mageletta, per un totale di poco meno di 550 pertiche. Ma l'importanza di Farinate nei secoli più antichi può essere intravista anche dall'esistenza, nel suo territorio, di ben tre chiese contemporanee tra loro, come s'è già visto: oltre a quella di S. Fabiano anche quelle di S. Martino e di S. Nicola, tutte nominate come già esistenti sin dal 1120 e di cui rimane tuttora il ricordo nel nome di alcuni campi ovvero se ne ritrovano i nomi assegnati ad altri terreni censiti dal Catasto napoleonico del 1815. Tre chiese, dunque, che si possono ritenere verosimilmente private, nonché strettamente connesse con la natura di Farinate di caput curtis, ossia di centro curtense rispetto al suo ambito territoriale dipendente ‒ composto da terre e unità abitative minori ‒, dove di norma si trovava la maggior parte del dominicum (cioè la parte della curtis a conduzione diretta da parte del dominus locale) e dove in genere risiedeva il signore del luogo o, in alternativa, uno suo rappresentante di fiducia, e dove convergevano i prodotti della terra per essere immagazzinati o commerciati, e così via. Ancor più scarse e sporadiche appaiono le notizie su Capralba, riguardo ai secoli più antichi e alla possibile epoca della sua nascita come nucleo abitato, che non è illogico pensare come già preesistente alla data della sua prima citazione documentale, magari come semplice villaggio curtense dipendente da Farinate. È infatti del 1151 la prima menzione finora nota in cui compaia il nostro toponimo. In occasione di una sentenza emanata dai consoli di Crema, relativa ad una vertenza tra l'abate del monastero di S. Sepolcro di Astino, presso Bergamo, e un tal Lanfrancus Tethaldi de Caravazio inerente al possesso di un terreno in quel di Levate, tra i Cremensium Consules chiamati a risolvere la controversia, compare anche un certo Bernardus de Cavralba (Lupi, II, coll. 1103-1104). Quindi un personaggio di elevato ceto sociale, vista la sua carica pubblica; personaggio che ritroviamo presenziare, nel 1157, ad un accordo tra la badessa del monastero di S. Giulia di Brescia e i consoli di Piacenza circa le rispettive competenze sul porto piacentino e sul traghetto del Po (CDLM, Area bresciana > Brescia, S. Giulia, I, n. 161). Accordo che venne stipulato in castro Creme in domo Gerardi comitis: ossia a Crema nell'abitazione del conte Gerardo, qui presente insieme al fratello Lantelmo, che altri non erano se non i figli di Manfredo I, conte di Offanengo e nipote di Giselberto IV, che avrebbero dato vita al ramo dei Conti di Camisano dopo la distruzione di Crema (cfr. Menant 1992, 129). Difficile, quindi, non pensare ad un legame tra questo Bernardus de Cavralba e i Giselbertini. Ma poiché non viene mai definito comes, cioè conte, bisognerà ritenere che potesse appartenere a una famiglia di loro vassalli, forse una diramazione dei de Farinate, insediatasi in quel di Capralba in tempi non molto lontani dalle date in cui la sua esistenza è documentata. Sembrerebbe, infatti, di poter dedurre che ancora nel 1019, quando il conte Arduino I prometteva al vescovo di Cremona di non interferire con le decime che quest'ultimo riscuoteva nelle pievi di Fornovo, Arzago e Misano, Capralba ancora non esistesse, quantomeno come nucleo abitato strutturato, ovvero non fosse considerata un vicus degno di menzione, poiché non veniva nominata insieme a Campisigo, Caselle, Casale, Farinate, Perzate et Vailate Gebidi cum omnibus adiacenciis et finibus earum que simul pertinent ad predictum episcopatum (CCr., I, 353; CDLM, Area cremonese > Cremona, Mensa Vescovile I, a. 1019 luglio 14). E ancora nel 1087, quando alcuni Giselbertini risiedevano nel castrum Farinate, questo doveva rappresentare già da tempo il caput curtis e centro demico maggiore rispetto all'area ad esso pertinente. Ma, come è successo per diverse località di origine altomedievale, soppiantate da nuove fondazioni di maggior attrattività già dai primi secoli del Basso Medioevo, è verosimile ritenere che la nascita di Capralba come centro demico abbia condiviso con questo diffuso fenomeno la sua fondazione o, comunque, la sua ascesa d'importanza in qualità di abitato di maggior richiamo. Una flebile traccia potrebbe essere rappresentata dalla trascorsa esistenza, in questi paraggi, di due edifici sacri, di presumibile ambientazione campestre, dedicati rispettivamente a S. Zeno e ai SS. Gervasio e Protasio. Quest'ultima fu poi rimpiazzata più tardi da un'altra chiesa sotto il medesimo titolo, edificata in paese e officiata dai frati Conventuali di S. Francesco. Dedicazioni di questo genere possono, in effetti, risalire a tempi piuttosto remoti, riferendosi a santi vissuti e spesso martirizzati nella tarda romanità, additati come modelli di santità e testimoni della fede cristiano-cattolica nell'opera di contrasto all'arianesimo diffuso tra le popolazioni di origine germanica, con episodi di maggior resistenza nelle campagne. San Zeno, vescovo di Verona nel IV secolo, in particolare è invocato quale protettore dai pericoli e dai danni causati dall'acqua e dalle inondazioni e, forse, in un territorio come il nostro, pervaso dalle acque, tale presenza santorale potrebbe trovare una giustificazione precisa. Interessante risulta pure la viabilità che ancora oggi attraversa o lambisce i territori indagati e che ricalca in buona parte un'organizzazione territoriale antica. Verso ovest, infatti, particolare rilievo e commisurata importanza dovette rivestire, sin dall'età romana, la strada per Vailate. Da poco oltre l'abitato di Trescore Cremasco e sino a Vailate, appunto, questo asse viario coincide esattamente con un cardine della centuriazione bergamasca: il XII, a quanto sembra (cfr. Tozzi 1972, 77 e Tav. XI). Nel XIV secolo questa importante arteria stradale è registrata come la strata Vaprii per quam itur Vaylatem, di speciale rilevanza rispetto ai commerci e agli equilibri geopolitici e socio-economici della città di Crema e del suo territorio, e in altre occasioni denominata in alternativa come strata communis Creme. Il primo tratto, di raccordo tra la città e il rettifilo da Trescore a Vailate, era individuato pure come via Cremoxani, e non poteva rispettare l'allineamento con il successivo rettifilo poiché doveva aggirare la palude del Moso, scorrendo sul suo margine orientale, fino a Trescore Cremasco (Comparticio, 210, 229, 233). Sul versante opposto doveva snodarsi la strata Vayrani, sempre secondo la definizione del XIV secolo, la cui manutenzione era a carico di alcune vicìnie cittadine usque ad pontem Capralbe (Comparticio, 229): ponte che, per quell'epoca, potrebbe essere identificato con un manufatto gettato sulla rozia magna communis Creme, su cui da secoli si attesta il confine con Misano Gera d'Adda, già in territorio bergamasco. Ma un altro ponte a scavalco della medesima roggia serviva pure una diversa strada che metteva in comunicazione diretta Farinate con Misano, la cui manutenzione era demandata a Paganino e Tebaldo Benzoni e agli altri componenti la societas a cui al tempo era appaltata le gestione della roggia Cremasca-Comuna. Nello stesso ambito territoriale doveva necessariamente esistere anche il raccordo viario tra Farinate e la strata Vaprii, tramite il quale ci si poteva immettere su un'arteria stradale primaria congiungente Crema con Vailate e con il resto della viabilità regionale, tanto verso nord quanto verso sud. Alla manutenzione di uno specifico ponte posto verosimilmente nel punto di innesto di questo raccordo viario con la strata Vaprii dovevano provvedere il comune e gli uomini di Vailate (Comparticio, 210). Del resto anche il sistema della mobilità deve aver subito modifiche di un certo peso nel corso del tempo, come, peraltro, poteva essere prevedibile. Non parrebbe infondata, a tal proposito, l'ipotesi che il primitivo tracciato della strata Vayrani avesse un percorso diverso da quello attuale e passasse per Campisico, la cui antichità di fondazione e la trascorsa importanza presupporrebbero un collegamento non secondario con gli abitati circonvicini. Una simile ipotesi viaria, peraltro, lascerebbe pensare che la strada principale di collegamento con Crema imboccasse l'abitato di Capralba al suo capo orientale, giustificando forse la posizione strategica dell'antica chiesa parrocchiale di S. Andrea e motivando meglio la topografia nel nucleo storico del paese, evidentemente cresciuto lungo questo asse viario principale: circostanza che l'attuale viabilità primaria non sembra giustificare appieno. Cavralba : un toponimo problematico Piuttosto enigmatico rimane, invece, il significato del toponimo, che le prime attestazioni note restituiscono nella forma grafica di Cavralba, come segnalato nelle righe precedenti, in cui si riconosce facilmente l'influsso dialettale locale, tradito dalla lenizione della -p- riguardo al primo elemento: sempre ammettendo, beninteso, che si tratti di un toponimo formato da due elementi, il primo dei quali corrisponda al lat. capra. In tal caso, però, va notato che il secondo elemento, alba, con il normale significato di "bianca", non appartiene in nessun modo al dialetto, ben sapendo che il termine latino albus "bianco" venne soppiantato dal termine di tradizione germanica *blank "lucente, chiaro" sin dall'alto medioevo, introdotto nel linguaggio corrente dalle stirpi di origine germanica e, forse, più esattamente, longobarda (DELI, I, 136-137). Dunque il nostro potrebbe essere un toponimo nato in un tempo antecedente a tale epoca e magari di matrice latino-classica o tardo-romana? Difficile da ammettere, poiché il toponimo Cavralba/Capralba mostra una struttura già del latino medievale, con l'aggettivo posposto al nome, che potrebbe risalire, ovviamente, anche a epoca altomedievale, quale denominazione attribuita forse semplicemente a una zona rurale, anche di ampia estensione. Il che spiegerebbe il silenzio dei documenti fino al momento in cui si venne a costituire un'aggregazione di dimore e di altre strutture connesse, a formare un centro abitato di qualche rilievo istituzionale, sociale ed economico. In tale contesto cronologico e storico-linguistico, però, il termine alba non avrebbe dovuto più avere il valore di "bianca"… a meno che non lo si voglia ritenere un arcaismo lessicale ovvero una formulazione aulica del toponimo, di possibile matrice notarile e dovuta forse a specifiche circostanze alle quali non sarà semplice risalire. Il che non può essere escluso a priori, trovando qualche analogia in toponimi medievali composti in modo simile, come Ghisalba (Ecclesialba nel sec. XI), Cornalba, Peralba, Vialba (Villalba nel sec. XII), ecc. in cui, tuttavia, va almeno notato che il sostantivo di cui si compongono questi toponimi si riferisce a un elemento fisico (una chiesa, una roccia, un abitato, ecc.) ben concreto e stabile nel tempo. Mentre nel caso nostro, oltre a riferirsi ad un animale, anche un'ipotesi di questo genere sembrerebbe contrastare con la formulazione di carattere dialettale del primo elemento, càvra, resa dalle prime attestazioni note, a meno che non si vogliano considerare queste ultime come la restituzione, già dialettizzata, di un toponimo più antico di formulazione latina. Va aggiunto, per completezza di informazione, che in un documento del 1287 un noto rappresentante di quella che divenne la famiglia dei conti di Capralba viene definito come Iohannes f.q. Lanfranchi de Caveralba (CDCr., I, 375), e uguale forma grafica del toponimo riemerge nell'altrettanto ben noto Desegnio de Crema et del Cremascho: prima rappresentazione cartografica del territorio cremasco finora conosciuta, risalente alla seconda metà del XV secolo. Tuttavia questa grafia relativa al nostro toponimo appare nettamente minoritaria e isolata a queste due sole citazioni note e, pertanto, meno accreditabile ai fini della ricerca di un'etimologia e di una giustificazione semantica in sintonia con il contesto ambientale e cronologico in cui si pone Capralba. Dante Olivieri, nel suo Dizionario di toponomastica lombarda (DTL, 141), così si esprimeva al proposito: «Se è proprio una CAPRA ALBA si tratterà probabilmente di un soprannome di persona: cfr. Gattabigia (Pieri, Arno, 274); n. pers. Capra (Serra, Cogn., II, 627)», lasciando trasparire, però, un'evidente titubanza rispetto a una soluzione di ripiego e non pienamente soddisfacente, come quella avanzata. Tale interpretazione è stata sostanzialmente riproposta nel 1990 dal Dizionario di toponomastica della Utet (DT, 137), con la sola aggiunta dell'osservazione su albus/blank già sopra richiamata, che induceva l'autrice del lemma a ritenere il nostro toponimo come un arcaismo lessicale (al pari di altri simili, come Ghisalba, Cornalba, ecc.). Mentre poi, nello stesso anno 1990, Giovan Battista Pellegrini evitava prudentemente, a quanto pare, di registrare il nostro ermetico toponimo tra quelli derivati dal latino capra (Top. It., 360), Pierino Boselli così scriveva, nel suo Dizionario di toponomastica bergamasca e cremonese, alla voce 'Capralba': «Tre le ipotesi più verosimili sulle origini del nome. 1) Da capra alba «capra bianca» soprannome di persona (Olivieri). 2) Da capo d'albe «capo d'alveo». 3) Da quadralba, ovvero località di «quattro alvei» (Boselli, 78), omettendo però di specificare la paternità delle due ultime ipotesi, che in effetti erano già state prospettate da Angelo Zavaglio oltre un quarantennio prima, e sottacendo questa fonte. E veniamo, quindi, alle ipotesi che mons. Zavaglio avanzava nel suo Terre nostre, pubblicato postumo nel 1946 e ripubblicato nel 1980 con aggiunte di mons. Gabriele Lucchi. Secondo questo autore il nome Cavralba, come lo si trova nominato nel 1151 «può ritenersi equivalente a "capo d'albe" ossia capo d'alveo, capofonte. Ma […] può anche ridursi alla forma primitiva di Quadralba, cioè località di quattro alvei» (Zavaglio, 104). Il che, al di là dell'arbitraria forzatura fonomorfologica applicata al nome originario, non potrebbe nemmeno risultare un carattere distintivo del luogo ‒ che di norma è uno dei presupposti sostanziali tesi a sancire l'individualità di ogni toponimo riguardo al contesto geografico in cui nasce ‒ rispetto ad altri abitati più o meno prossimi, poiché nella cosiddetta "fascia delle risorgive", entro cui il territorio di Capralba si colloca a pieno titolo, la presenza di fontanili (e dei relativi alvei) è un elemento comune, ricorrente ovunque e condiviso più o meno da tutti, rimanedo svuotato della sua presunta peculiarità di emblema distinguente. Sul versante formale, poi, da Cavralba, cioè dalla versione dialettale del toponimo, come pensava lo Zavaglio, appare piuttosto arduo ricavare un'equivalenza con "capo d'albe", locuzione peraltro del tutto italiana. Quanto a Quadralba "località di quattro alvei", la suggestione risiede più nella sua vicina assonanza con il nostro toponimo che nella reale possibilità di una effettiva derivazione. Tanto il quattuor latino quanto il quàtre dialettale, "quattro", ‒ volendo considerare entrambe le alternative ammissibili ‒ conservano sempre la dentale sorda -t-, che difficilmente può sonorizzarsi in -d- e, in ogni caso, il passaggio -d- > -v- rimane comunque una difficoltà formale non secondaria. Anche riguardo al secondo elemento sembra poco praticabile una derivazione di alba ‒ che in tale ipotesi dovrebbe rappresentare un plurale neutro latino ‒, sia muovendo da alvĕus latino sia da àlbe dialettale (anch'esso derivato dal lat. alvĕus, nonostante il significato corrente sia quello di "truogolo, conca"), che al plurale darebbero, rispettivamente, lat. alvĕi e dial. àlbe, quest'ultimo invariato. Come si vede, la soluzione etimologica inerente al nostro sfuggente toponimo andrà ricercata altrove ed è probabile che possa dare non poco filo da torcere anche in futuro. In questa sede, tuttavia, che di toponomastica si occupa in modo specifico, non pare possibile sottrarsi quantomeno a un tentativo di ipotesi alternativa. Ad esempio, se si volesse davvero pensare, con l'Olivieri, che la nostra costruzione verbale formata da due elementi si riferisse «proprio a una CAPRA ALBA», ossia a una capra bianca, forse più che a un soprannome di persona si potrebbe pensare già ad un toponimo, magari provocato da qualche specifica circostanza, come ad esempio l'insegna con cui poteva essere segnalata una struttura o un punto di ritrovo "lungo strada" noto a tutti, quale poteva essere una taberna o una locanda, sul modello di quelle comuni insegne esibite per lunghissimo tempo, in passato, da osterie, locande, alberghi posti lungo la viabilità principale del territorio, ovvero disseminate nei centri urbani. Insegne contraddistinte spesso da figure zoomorfe e pure da uno specifico colore (quali l'Aquila nera, il Leone d'oro, il Gambero rosso, il Cavallino bianco, ecc. comprensibili anche da chi non sapesse leggere) inalberate in bella mostra nella tipica modalità "a bandiera", ossia sporgente verso la strada, divenendo sovente un punto di riferimento topografico popolare, capace di nominare un'intera contrada. Nel caso di specie, dunque, si potrebbe ipotizzare l'iniziale esistenza, qui, di una taverna o di qualche altra simile struttura all'insegna di una Capra alba, dal pomposo nome latino classico. Del resto situazioni analoghe, con gli analoghi riflessi toponomastici, si possono rilevare ancora oggi. Ma si tratta solo di un esempio molto ipotetico. Considerando invece il contesto ambientale in cui il nome di Cavralba/Capralba si è originato, nel cui ambito il dato forse più caratterizzante ‒ come meglio si potrà cogliere dall'analisi della toponomastica passata ed ancora in parte vivente ‒ riguarda la diffusissima presenza di pascoli, tale connotato specifico andrà preso in seria considerazione, poiché potrebbe rivelare qualche nesso con il termine 'capra'. Bisogna inoltre considerare che in questa tipologia agropastorale oltre alle superfici denominate "pascolo", con tutti i possibili derivati, andranno incluse pure le numerose làme nonché le móśe ‒ entrambi termini indicativi di zone più o meno acquitrinose generate periodicamente dalla falda freatica subaffiorante ‒ anch'esse destinate al pascolo zootecnico, data la loro natura anfibia, poco o per nulla sfruttabile in altro modo. Poiché appare abbastanza evidente che questo genere di denominazioni risulta essere qui particolarmente ricorrente, ne emerge che il territorio appartenente all'attuale comune di Capralba dovette costituire per lunghi secoli un luogo dedicato in modo prevalente al pascolo e destinato ad accogliere soprattutto greggi caprovine ‒ solo in epoche posteriori sostituite quasi interamente da mandrie bovine ‒ provenienti da fuori territorio. In altre parole questa ampia zona, comprensiva anche di presumibili altre superfici oggi appartenenti ai comuni circonvicini, dovette fondare a lungo la propria fortuna economica sulla presenza di bestiame transumante disposto a svernare in questi luoghi durante la stagione autunno-invernale, sfruttando anche il fieno localmente prodotto nella buona stagione e riservato al bestiame svernante. Anche la singolare frequenza qui di microtoponimi o di semplici appellativi riconducibili al nome Campàs, lascia presumere il termine come legato in qualche misura alla stessa destinazione pascolativa delle superfici così denominate. In effetti si deve rilevare come il suffisso -azzo/-asso applicato alla restituzione italiana del termine Campàs (che in genere suona 'Campazzo/Campasso'), e che in pratica deriva dall'italianizzazione standard dell'uscita dialettale in -as, possa facilmente essere considerato come il normale esito comune anche ad altri analoghi termini, nei quali il suffisso in argomento risulta dall'evoluzione del latino medievale -acium/-atium. Tale apparente derivazione potrebbe dunque indurre ad associare anche il termine 'Campazzo' al novero dei numerosi nomi con analoga morfologia ‒ quali Torrazzo, Murazzo, Castellazzo, Molinazzo, ecc., in genere, però, riferiti ad elementi costruiti ‒ che contraddistingue il più delle volte antichi manufatti in rovina o in abbandono, la cui rievocazione toponimica in genere è il sintomo della stratificazione di successivi assetti territoriali sovrappostisi e sedimentatisi nel tempo (cfr. Settia 1980, 43-52). Nel caso nostro, invece, il termine Campàs potrebbe dipendere da origini e motivi diversi. Il così frequente ripetersi di questo appellativo, non solo qui a Capralba, certamente, poiché il tipo toponimico appare ben rappresentato in gran parte del Settentrione e oltre ancora, ma in modo speciale qui ‒ dove ricorre almeno nove volte, tra denominazioni storiche o ancora viventi ‒ induce a supporre, per la sua interpretazione, una derivazione dal latino medievale campus pascuus, se non già addirittura da campascuum, forse per influsso o per parentela di funzione con l'assonante compascuum, definizione applicata ad aree destinate al pascolo collettivo. In pratica il termine potrebbe definire superfici agrarie che dopo alcuni anni di sfruttamento cerealicolo, quali terreni arativi, venivano lasciate a riposo divenendo terreno di pascolo, magari sfruttabile in compartecipazione da parte dell'intera comunità del luogo ovvero dal bestiame transumante proveniente da altrove. Si tratta, come si capisce, di un'ipotesi di lavoro, che però potrebbe meritare un adeguato approfondimento, al fine di spiegare un termine cristallizzatosi in forma toponimica e particolarmente diffuso, specie in area centro-padana, la cui natura e l'insolita frequenza sarebbero in altro modo meno facili da motivare e spiegare in modo soddisfacente. Ecco allora che anche il toponimo Cavralba/Capralba potrebbe trovare una sua spiegazione in questo specifico contesto ambientale ed economico e derivare da un sintagma del tipo caprae alpa o forse anche capr(arum) alpa dove alpa rappresenta un termine latino-medievale con il valore di "pascolo" (cfr. Du Cange, s.v. Alpes) ‒ preso a prestito, nel nostro ambiente di pianura, dal suo più consueto uso in ambito alpino (cfr. LEI, II, 214-222) ‒ ed è toponimo che ricorre non solo nella toponomastica locale, tanto a Capralba quanto a Farinate, ma anche altrove in territorio cremasco e alto-cremonese con tale specifico significato (cfr. il n. 6 del 'Repertorio toponomastico' per ulteriori dettagli). Quindi il senso letterale del nostro toponimo potrebbe essere quello di "pascolo per la capra (o per le capre)" con passaggio di alpa ad *alba per dissimilazione della seconda -p- rispetto a quella di capra. Il perché del ricorso al latino capra, anziché ad altra diversa specificazione animale ‒ come ovis, vervex o berbix "pecora, montone" o simili ‒ si può spiegare pensando ancora una volta alla natura dei luoghi qui indagati, nei secoli medievali diffusamente acquitrinosi o semipalustri, verosimilmente intercalati da cespuglieti e boschi igrofili, dove potevano vegetare dure erbe poco appetite dal bestiame ovino o bovino, ma più gradite a quello caprino che mostra capacità di adattamento ai diversi tipi di ambiente e di pascolo particolarmente elevate. Del resto in altri casi, implicanti il pascolamento di terreni più floridi, quello caprino di norma faceva seguito al pascolo ovino o bovino che poteva approfittare in prima battuta delle erbe migliori, lasciando alle capre la parte residuale tralasciata dai primi pascolatori. Questa diversa ipotesi toponimica può trovare qualche ulteriore elemento di supporto nella rimanente toponomastica locale, come pure nel contesto storico-ambientale di cui in parte si è già discusso. A Capralba, in adiacenza al campo denominato l'Alpa, in uno con lo storico e scomparso campo 'Alpino', si trova l'appezzamento denominato in passato 'il Campodile' (oggi trosformatosi in al Campedì), il cui nome, in questa sede, abbiamo proposto di sciogliere in *Campus haedilis, interpretabile come "campo dove si ricoverano i capretti", dove haedilis rappresenta un aggettivo del latino haedus "capretto", con genesi analoga a quella di termini come ovilis, caprilis, suilis, bovilis, ecc. indicativi di ricoveri destinati a singole specie animali. Un diverso ma omonimo campo, peraltro, è registrato dall'estimo veneto del 1685 nell'estremo settore orientale del territorio Capralba, sotto la denominazione de il Campodile alli Balordi (cfr. i nn. 133 e 186 del 'Repertorio toponomastico'). Non si deve infine dimenticare lo speciale favore accordato, nei primi secoli del Basso medioevo, all'allevamento di bestiame transumante da parte di alcune importanti abbazie o priorati monastici, per lo più di regola benedettino-cluniacense, insediati sulla linea di raccordo tra montagna e pianura, come S. Giacomo di Pontida, S. Pietro in Lamosa di Provaglio d'Iseo o S. Paolo d'Argon. Quest'ultimo priorato ‒ donato nel 1079 a Cluny da parte del suo fondatore, ossia il conte Giselberto IV, come già si diceva ‒ possedeva notevoli proprietà fondiarie, spesso ampliate con buona probabilità da quelle appartenenti ad altre entità ecclesiastiche o monastiche collegate o dipendenti, dislocate in tre regioni geografiche ben connotate, ossia in una parte delle Prealpi bergamasche circostanti il priorato medesimo, poi lungo il medio corso sublacuale del fiume Oglio, tra Rudiano, Aguzzano (Orzinuovi), Florianum (Torre Pallavicina) e Pumenengo, e infine intorno a Crema, con Ombriano e Cremosano (entrambi ai margini del Moso, un'estesissima area palustre, definitivamente bonificata solo nel XIX secolo) nonché a Vailate e Farinate. Questo patrimonio, attentamente organizzato e accresciuto nel tempo, sembrerebbe rispondere a un obiettivo ben definito, ossia disporre di luoghi di pascolo funzionali alla transumanza stagionale del bestiame, il cui allevamento di cospicue proporzioni valeva ad inserire a pieno titolo il priorato nell'economia zootecnica e pastorale della prima metà del XII secolo (Menant 1992, 113-116; Menant 1993, 265-266), secondo una prassi che accomunava S. Paolo d'Argon ad altri enti monastici cluniacensi contemporanei, come quelli già citati di S. Giacomo di Pontida, di S. Pietro in Lamosa di Provaglio di Iseo, oppure quelli di S. Pietro di Cavaglio (NO), dei SS. Pietro e Paolo di Castelletto Cervo (BI) e altri analoghi (cfr. Andenna, 12-13, 27), ma anche come S. Damiano di Dovera. Riguardo a quest'ultimo riescono interessanti gli atti inerenti ad una lite tra alcuni esponenti della famiglia de Arzago, dimoranti a Dovera, e il locale monastero di S. Damiano a proposito dei diritti di pascolo nella stessa corte di Dovera, lite iniziata nel 1177 e risolta solo nel 1182 (Manaresi, 149-150, 174-175). Poiché la badessa esigeva che i de Arzago non impedissero ai rappresentanti del monastero di condurre bestias ipsius monasterii et malgas extraneas ad pascorandum in pascuis et comunantiis curtis de Dovaria pro tertia parte, nonché di poter godere dell'herbaticum sicut illi de Arzago ‒ ossia del tributo dovuto ai signori del luogo per il pascolo delle greggi ‒ se ne deduce che, oltre all'esiguo bestiame locale (bestie ipsius monasterii o bestie sue), qui sopraggiungessero a svernare greggi ben più consistenti, ben sapendo che con il termine malga si definivano greggi formate da un numero superiore al centinaio di capi. Il che lascia ipotizzare che situazioni analoghe si verificassero anche rispetto al monastero di Farinate, a quell'epoca divenuto una cella o una grangia di quello di Dovera, dove le condizioni ambientali, come abbiamo visto, sembravano essere tra le più favorevoli a questo genere di sfruttamento pastorale di cui, peraltro, si poteva già intravedere un riferimento abbastanza esplicito, come detto più sopra, nelle bolle papali di Innocenzo II del 1130 e di Alessandro III del 1169 emanate a favore delle monache di S. Fabiano di Farinate e di S. Damiano di Dovera ((cfr. CDLaud., I, 122-123, II/I, 55-56). Ma ancora più esplicto appare il testamento di Columba, priora di S. Fabiano dal 1170 e figlia del defunto Alberto qui dicebatur de Farinate, probabilissimo vassallo locale dei Giselbertini: testamento con il quale, nel 1201, Columba legava al monastero di S. Fabiano i beni ereditati dal padre, ossia, il quinto dell'honor del districtus e dell'herbaticus spettanti alla corte di Farinate e, si noti bene, di Capralba, oltre a beni fondiari posti pure in territorio di Quintano nonché prati, boschi e ronchi giacenti al di qua e al di là dalla Çermanella, probabile idronimo per ora non identificato, ma che si presume collocabile in questi stessi paraggi (Fasoli 1988, 143; Menant 1992, 105-106). Ancora una volta la citazione dell'herbaticus non fa che attestare la destinazione d'uso più redditizia di questi luoghi, vale a dire la pastorizia proveniente da altrove. Toponomastica e antichi paesaggi Il notevole patrimonio toponomastico, tanto trascorso e non più in uso quanto ancora vivente, rilevato negli ultimi anni nel territorio comunale di Capralba o reperito nella documentazione d'archivio inerente ai tre antichi e distinti comuni di Campisico, Farinate e Capralba, ricco di oltre 650 occorrenze, in assenza di un'organica documentazione relativa alle epoche più antiche di cui purtroppo soffre la maggior parte dei paesi del Cremasco, consente tuttavia di delineare un profilo tutt'altro che convenzionale del paesaggio storico locale, di cui spesso non rimane altra traccia che quella toponimica. Considerati nel loro insieme, i macro e i microtoponimi ovvero i semplici appellativi che ancora vivono nell'uso della popolazione locale, integrati da quelli storici che si sono in parte estinti nel tempo, consentono una visione articolata e di lunga prospettiva rispetto a un territorio dai caratteri non privi di alcune specificità e piuttosto differenti rispetto alla situazione attuale, che i confronti e le interrelazioni tra i singoli nomi di luogo di norma confermano. Divenuti ormai desueti, in un'epoca come la nostra, caratterizzata dalla specializzazione di alcune definite aree regionali nelle produzioni orticole, frutticole, viticole o arboricole in genere, in passato, invece, era norma comune che attorno agli abitati maggiori, ovvero al loro interno, accosto alle abitazioni, o nelle adiacenze delle dimore sparse nella campagna fossero apprestati, mantenuti e curati con ogni attenzione frutteti, vigneti e orti, anche di dimensioni più che rispettabili, che la toponomastica locale registra con i nomi di Chioso, Chiosi (Ciós, in dialetto) ovvero Brolo, con tutti gli alterati del caso. Ebbene, nella microtoponomastica rurale, attuale o storica, del territorio di Capralba si rileva una ventina circa di nomi di appezzamenti di terreno riconducibili al primo ordine di termini e quasi una decina di denominazioni dipendenti dal secondo, compreso un rivelatore Chios del brolo. La viticoltura, in passato attuata in forma generalmente estensiva e solo in particolari casi in forma intensiva in ambiti agricoli, sembra invece aver sofferto in questo territorio l'eccessiva umidità del substrato e, dunque, non poté che essere attuata in particolari condizioni e in circoscritte aree, meglio affrancate da una falda freatica troppo superficiale. Poiché, tuttavia, quella del vino, da sempre ritenuto una bevanda-alimento, fu sempre considerata una produzione irrinunciabile, ecco che anche nel territorio di Capralba la toponomastica ricorda la presenza di vigneti (cfr. il successivo 'Repertorio toponomastico', alle voci Égna, Iśadèla, Vidùr, Vignól, ecc.) tutti circoscritti ad aree adiacenti agli abitati, accentrati o sparsi che siano. Desta invece non poca sorpresa il constatare che in un territorio come il nostro, a lungo occupato da una serie rimarchevole di risaie ‒ insieme ai vicini territori di Misano, Caravaggio, Mozzanica, Sergnano e Campagnola Cremasca ‒ specialmente nel settore meridionale, a sud di Campisico, che la cartografia settecentesca e ottocentesca registra con speciale cura (cfr. Caramatti 1992, 155-168; Carta del R.I. Lombardo-Veneto, 1833), i toponimi rilevati riferibili alla risicoltura appaiano inesistenti. Anche le più che esplicite e frequenti destinazioni d'uso del suolo indicate dal catasto napoleonico del 1815 (per lo più 'risara a vicenda', talora anche 'risara stabile') e l'esistenza di alcune pile da riso non trovano riscontri nella toponomastica rurale, né storica né ancora vivente. Ciò può significare che, nonostante la nuova destinazione d'uso a risaia, inaugurata in particolare nei secoli XVIII-XIX, diversi appezzamenti di terreno investiti da questa coltura abbiano mantenuto le loro primitive denominazioni, senza essere influenzati dalle sopravvenute innovazioni. Analoga situazione riguarda la linicoltura, che nei territori di Campisico, soprattutto, ma pure di Farinate e di Capralba, trovava uno dei suoi ambiti colturali di maggior pregio assoluto per una produzione rinomatissima, che la tradizione locale ancora celebra. Eppure i nomi legati alla coltivazione di questa pianta tessile restituiti dalla toponimia del luogo sono solo due: uno storico e un altro ancora esistente. Riguardo alla composizione del substrato emergono con una certa frequenza toponimi o appellativi ispirati dalla locale natura ghiaiosa dei terreni, riconoscibile anche in superficie poiché affiorante in non poche zone: evento che la toponimia rurale pone in risalto con i nomi di Gerre, Gerola, Gerone, Geronello, Geronzello e simili, distribuiti un po' su tutto il territorio in esame. Della morfologia del territorio si è già detto, e la giacitura sostanzialmente monoplanare della sua superficie non ha lasciato particolari tracce nei nomi di luogo attuali, se si escludono alcuni richiami a lievi depressioni del terreno, percepite come blande incavature di natura idrologica che potevano movimentare i paesaggi passati e che anche la toponomastica storica definiva con i nomi di Valle, Valletta, Vallesella. A questi lievi avvallamenti protesi in senso meridiano, tuttavia, si lega senza dubbio l'idrografia superficiale: sia di origine più o meno artificiale, segnalata dai numerosi capifonte che trapuntano questo territorio nonché da appellativi quali Fontana, Fontanone, Fontanile, sia di origine spontanea, a tratti ancora riconoscibile dal percorso fittamente serpeggiante, che è però l'idronimo stesso a definire meglio come linea di impluvio delle acque piovane, o di quelle ruscellanti o di falda sottosuperficiale che vi convergono per essere raccolte e fatte defluire a valle. Il nome delle rogge Ora, Orietta, Oriella, Oriola che scorrono nel settore occidentale del territorio comunale origina infatti dal latino medievale lora "imbuto, pevera" che in senso geografico assume il significato di "punto in cui si raccolgono le acque superficiali" (per cui si veda il n. 443 del successivo 'Repertorio toponomastico'). E proprio la particolare situazione di questo territorio ‒ in uno con quelli adiacenti ‒ dovuta al suo naturale assetto idrologico, che vede il livello superiore della falda freatica raggiungere sovente la superficie topografica, saturando gli strati di terreno sottosuperficiali, ha condizionato per secoli anche l'uso del suolo e la destinazione produttiva agraria o silvo-pastorale di questi luoghi. Toponimi ancora viventi come Móśa, Muśìna, Muśèta, o quelli storici come la Mosa, le Mose, il Mosetto, alla Mosetta, tutti riconducibili ad un antico termine di origine germanica mos "palude, acquitrino", voce del medio alto tedesco che si riflette nel moderno termine Moos "stagno, palude", testimoniano la passata e diffusa presenza di zone semipalustri in gran parte del territorio capralbese. E situazioni analoghe sono espresse dalla base latina lama "acquitrino", che in ambito locale ha dato vita a oltre trenta microtoponimi, agronimi o semplici appellativi tra quelli storici e quelli tuttora esistenti: un numero davvero insolito e certamente indicativo di una condizione idrogeologica molto speciale in termini generali, ma non inaspettata in un territorio che rientra a pieno titolo nella fascia delle risorgive. Questo preciso carattere, in ogni caso, ha condizionato a lungo la destinazione d'uso del suolo di questo ambito territoriale che sempre la toponomastica, sia storica sia attuale, restituisce in modo esemplare. Una ventina circa sono i microtoponimi o semplici appellativi che si rifanno alla passata presenza del bosco, ma, a giudicare dall'estensione delle parcelle censite con questa denominazione dal catasto napoleonico del 1815, si deve ritenere che in passato la maggior parte del territorio afferente all'antico comune di Campisico fosse occupata dal bosco, quantomeno dal corso della roggia Alchina in giù, a costituire un esteso sistema boschivo in gran parte coincidente con il 'Bosco Canito', ben noto alla tradizione popolare e nominato in via diretta da qualche carta d'archivio, tra cui spiccano i rapporti giudiziari relativi all'ultima rapina a mano armata e alla successiva impiccagione, qui eseguita il 28 giugno 1816 all'inizio del Bosco Canito, di Paolo Ghedi, figura di bandito locale divenuta leggendaria, il cui luogo di sepoltura in riva all'Alchina è tuttora segnalato da un cippo commemorativo (cfr. Soldati 2016, 6-43). Ancora alla fine del XVII secolo l'Estimo veneto registrava qui i toponimi Canido, Canidone grande e Canidone piccolo, dove in parte rimane l'attuale nome al Canìt, detto anche la Làma, che l'errata lettura fatta dal copista del Catasto napoleonico, o il malinteso desiderio di correggere il precedente toponimo, ritenuto scorretto, aveva trasformato in Cantoni. Ma un'estesa area boschiva rimase a lungo anche nel settore meridionale del territorio appartenente al comune storico di Farinate. Compresa tra il corso delle rogge Ora e Oriella veniva registrata dal Catasto napoleonico con le denominazione di Boschi comunali, ma proseguiva sotto il semplice appellativo di Boschi e confinava con un'altra vasta area a nome Roncone e Ronco, oggi attraversata dalla linea ferroviaria Treviglio-Cremona. Oltre una quindicina, in effetti, sono i toponimi, antichi e recenti, che si rifanno al termine medievale roncus/runcus indicativo di terreni originariamente incolti ‒ boschi, cespuglieti, zerbi o sodaglie ‒ in fase di dissodamento e soggetti a sfruttamento promiscuo e alternato con qualche coltura più o meno temporanea (cfr. le varie voci nel successivo 'Repertorio toponomastico'). Uno di questi, nell'estimo veneto, era espressamente registrato come il Ronco, hora zerbio, mentre un altro, ormai detto il Pascolo, era però ancora specificato come già Ronco e, oltretutto, portava anche il nome alternativo de il Pascolo rovidero, che in una sola parola evoca l'immagine di un luogo invaso dai rovi, vale a dire dalle specie arbustive più vivaci e dinamiche nella riconquista degli spazi aperti, nonché attive precorritrici di una nuova copertura boschiva. E siamo così entrati nel paesaggio dei pascoli che la toponomastica rurale del territorio di Capralba ricorda nel nome di oltre una decina di agronimi o semplici appellativi, ma che viene indicato come specifico uso del suolo proprio anche di altri appezzamenti di terreno, battezzati con nomi diversi da questi. Non va poi dimenticato che la destinazione pressoché esclusiva delle lame era ancora il pascolo del bestiame e non molto diversa doveva essere quella delle aree semipaludose, ossia le mose, se si esclude tutt'al più qualche sfruttamento secondario come aree di raccolta dello strame, della canna di palude, delle carici o dei giunchi quali materiali da intreccio: attività alla quale venivano destinate pure le vermene di salice o di qualche arbusto, come il viburno o il sanguinello. Un così insolito moltiplicarsi di aree pascolative in un territorio comunale di medie dimensioni, ‒ prodotto però dall'unione di tre storiche realtà di ancor minore estensione ‒ non può che far pensare ad uno sfruttamento attuato tramite un intenso allevamento zootecnico di tipo vagante qui praticato nei secoli passati, poiché le poche e in genere non grandi cascine locali, da sole, non sembrerebbero in grado di giustificare una simile realtà. Pertanto, e pur in assenza di documentazione probatoria più esplicita, non pare illogico pensare al nostro territorio come meta stagionale del movimento pendolare di greggi caprovine sin dai secoli almeno medievali, come già si argomentava in precedenza, e in epoche meno antiche anche di mandrie bovine transumanti ‒ in aggiunta al patrimonio zootecnico locale, mai però particolarmente numeroso in passato ‒ al cui mantenimento invernale doveva essere destinata anche un'adeguata quota di fieno prodotto in loco e immagazzinato allo scopo, alla cui produzione dovettero provvedere i non pochi prati da sfalcio, per lo più prati stabili, dei cui nomi o appellativi ancora una volta ci rimane traccia nella microtoponomastica rurale che, tra le risultanze storiche o tuttora viventi, annovera poco meno di una quarantina di occorrenze. Non sarà dunque incongruente ritenere che un simile quadro ambientale e paesaggistico, strettamente integrato nella storia passata di questo territorio, in cui la fondamentale ricchezza o sovrabbondanza di acque superficiali e sottosuperficiali unita alla natura dei suoli, ha fortemente influenzato per lunghi secoli la vita umana e l'economia rurale, agricola e silvo-pastorale, del luogo, affidando una parte non secondaria del ricordo di questi scenari passati alla toponomastica rurale di ogni tempo, ma rivelandosi con buona plausibilità anche motivo promotore del toponimo assegnato al centro abitato divenuto nel tempo il capoluogo dell'attuale comune di Capralba. Nei lemmi le fonti archivistiche inedite sono indicate con le seguenti abbreviazioni: (A) = Archivio di Stato di Cremona, Fondo catasto, Copia dell'estimo 1685, Capralba (reg. n. 9); Farinate (reg. n. 18); Campisego (reg. n. 7). (B) = Archivio di Stato di Cremona, Fondo Catasto, Comune di Capralba, Dipartimento dell'Alto Po; Comune di Farinate, Dipartimento dell'Alto Po; Comune di Campisego, Dipartimento dell'Alto Po; mappe e tavole, 1815. (AB) = Archivio Storico del Comune di Crema, Archivio della famiglia Benvenuti di Crema. Nota alla consultazione La raccolta che segue comprende i toponimi ancora viventi sul territorio del comune di Capralba rilevati possibilmente nella loro forma dialettale, oltre a quelli rintracciati nelle fonti storiche più facilmente reperibili. Al fine di conservare la distinzione di appartenenza dei vari nomi di luogo alle tre storiche realtà territoriali che oggi compongono il Comune amministrativo di Capralba, si è fatto uso della seguente simbologia: ° per Capralba, °° per Farinate, ◊ per Campisico. L’elenco è ordinato alfabeticamente e per i termini in vernacolo adotta una trascrizione il più vicina possibile all’ortografia italiana – che si ritiene sufficiente alle finalità di identificazione fonetica qui perseguite – introducendo solo l’uso di pochi segni convenzionali per rendere alcuni suoni caratteristici, come la dieresi per u e o turbate (ü corrisponde a u francese e ö a eu francese) e l’uso del segno ś per rendere la sibilante sonora (senza tener conto dei nessi automatici come sg, sb, sv, ecc.) e del gruppo s-c per indicare la separazione tra la fricativa dentale e la successiva affricata palatale (come in s-ciòp "schioppo"). In finale di parola -ch e -gh indicano le occlusive velari rispettivamente sorda e sonora, mentre -c e -g rappresentano le affricate palatali. Si è badato, inoltre, a fornire l’indicazione dell’apertura o della chiusura di o e di e, quando risultino toniche, tramite l’apposizione dell’accento grave o acuto. Le turbate -ü- e -ö- sono da considerarsi toniche se non compaiono altri accenti nella parola che le contiene. Di seguito vengono poi citate le attestazioni tramandate dalle fonti scritte, precedute dalla data del documento attestante e seguite dalla sigla, tra parentesi tonda, del documento, del fondo o, comunque, dell’opera a stampa di provenienza. I toponimi non più viventi sono scritti, in esponente al rispettivo lemma, in carattere corsivo maiuscolo. L’asterisco * che precede alcune parole indica una base etimologica ricostruita e, pertanto, non attestata. 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Centri comunali antichi

Confini dei comuni censuari nel 1814

Idrografia

Campi di confine nel 1605 Nel 1605 furono per la prima volta nominati tre Provveditori ai Confini, con il compito di verificare i confini del Cremasco con il Ducato di Milano e di risolvere eventuali punti controversi. In realtà fu solo con il Trattato di Mantova del 1756 che ci fu una soluzione 'definitiva'. Ci è pervenuta la copia settecentesca di un registro realizzato dai provveditori che annota tutti i campi situati sul confine, con il loro appellativo, il nome del proprietario e, qualche volta ma mai nei territori che qui interessano, la superficie. Questo documento è stato trascritto e studiato da Carlo Piastrella in Il confine del territorio cremasco nel XVII secolo, "Insula Fulcheria", XXIV, Crema 1994, pp. 37-102. In questa sezione (layer) si tenta la mappatura approssimativa dei campi di confine che il registro assegna a 'Farinà', ma in realtà riguardano anche Capralba. Cerchi in magenta scuro contrassegnano i campi citati che si trovano nel nostro ambito territoriale ottocentesco e attuale, in violetto chiaro due terreni che il registro assegna a Farinate ma che risultano dal Catasto Napoleonico in poi in comune di Pieranica. In arancione sono poi alcuni agronimi all'epoca esteri. Nelle schede dei popup sono riportati i dati contenuti nel registro riguardo a ciascun pezzo, così come compaiono nell'edizione citata, corredati eventualmente da alcuni commenti del redattore della carta interattiva. Per le etimologie ed eventuali altri commenti dell'autore dell'Atlante Toponomastico di Capralba, si vedano i corrispondenti dischetti rossi e, dove assenti, i lemmi del livello della toponomastica ottocentesca.

Toponomastica fino al '700 Questo livello presenta, mediante segnaposti costituiti da un cerchietto rosso, una localizzazione a volte approssimativa dei toponimi anteriori al Catasto Napoleonico del 1814-1815, nel caso non siano già localizzati per continuità nel livello della toponomastica ottocentesca. Le citazioni toponimiche più antiche provengono da documenti vari che ne fanno menzione in modo non sistematico. Molti di essi rimangono esclusi perché allo stato delle ricerche non localizzabili neppure approssimativamente. Il Registro dei Confini del 1605 registra i campi che confinano con il Ducato di Milano. Per essi si veda anche il livello specifico dedicato. L'Estimo Veneto del 1685 realizza una sistematica copertura del territorio ma, non essendo corredato da mappe, la localizzazione dei toponimi che contiene è spesso problematica.

Cascine nei Catasti ottocenteschi

Toponomastica ottocentesca I catasti della prima metà dell'ottocento realizzano le prime mappature particellari sistematiche per il Cremasco. I link seguenti rimandano: i primi tre alle mappe del 1814 (cosiddetto Catasto Napoleonico) dei comuni di Capralba, Farinate e Campisico, gli altri tre alle pagine di indice dei fogli degli stessi tre comuni del Catasto Lombardo Veneto (1833-1834). Come browser si consiglia di usare Google Chrome, che le visualizza in modo efficace. http://asmilano.it/Divenire/ua.htm?idUa=10641611 http://asmilano.it/Divenire/ua.htm?idUa=10643703 http://asmilano.it/Divenire/ua.htm?idUa=10641202 http://asmilano.it/Divenire/ua.htm?idUa=10645730 http://asmilano.it/Divenire/ua.htm?idUa=10645854 http://asmilano.it/Divenire/ua.htm?idUa=10645720 Durante il periodo napoleonico fu fatto il primo rilievo che doveva servire a estendere anche alla Lombardia Veneta un catasto di tipo particellare, sul modello del cosiddetto Catasto Teresiano della Lombardia Austriaca. Questo primo rilievo cartografico fu fatto nei tre nostri comuni nel 1814. A ciascuna mappa era associato un fascicolo, compilato nel 1815 e corretto nel 1821, detto Sommarione, che specificava per ciascuna particella, in mappa identificata con un numero, il proprietario, il toponimo, il tipo di terreno (o di edificio), la superficie. Furono i primi passi di quello che attraverso altri complessi passaggi divenne il Catasto Lombardo-Veneto, che, pur essendo stato completato ben dopo, fotografa la situazione del 1841. Mentre il primo presenta una sola mappa per comune censuario, quest'ultimo presenta diverse mappe più dettagliate.

Toponomastica rurale vivente

Ringraziamenti
Riconoscimenti ai contenuti utente

La ricerca e le fonti La raccolta dei microtoponimi, degli agronimi e dei più diffusi e comuni appellativi riguardanti il territorio di Capralba, Farinate e Campisico ha preso avvio molti anni orsono, e precisamente nella primavera del 1996, vedendo coinvolti, in prima battuta, gli alunni della classe V elementare della scuola locale, sotto la guida della maestra Maria Alpiani. La ricognizione è stata ripresa, in seguito, da Giancarlo Soldati che l'ha portata a compimento tramite interviste ai singoli proprietari o agli affittuari dei vari fondi agricoli esistenti nell'ambito dell'intero territorio comunale, avvalendosi della collaborazione dei seguenti informatori: Gian Battista Benzoni, Romano Ferrari, Angelo Lotti, Giacomo Lotti, Pietro Manzoni, Gianni Merati, Giorgio Merigo, Giovanni Paglieri, Battista Severgnini, Mario Severgnini, Danilo Tonetti. Come sempre, per le monografie dell'Atlante toponomastico della provincia di Cremona, la base cartografica di riferimento è costituita dalla Carta Tecnica Regionale della Lombardia alla scala 1:10.000, utilizzando, però, l'edizione del 1994, ritenuta più rispondente alle necessità dell'indagine toponomastica qui presentata rispetto all'edizione più recente, sia per la parcellizzazione agraria ancora abbastanza minuta e articolata, utile alla collocazione di molti toponimi e appellativi successivamente scomparsi, sia per la minore urbanizzazione al tempo esistente, che consente il riconoscimento e la denominazione di superfici in seguito occupate dalle espansioni residenziali, industriali e commerciali, e dalla viabilità più recente (CTR, II ed., Parma 1994; sezioni: C6a3 - Vailate; C6b3 - Sergnano e C6b4 - Trescore Cremasco). Oltre alla carta relativa alla toponomastica attuale, si è ritenuto interessante proporre anche una trasposizione, sulla medesima base cartografica (CTR 1994), della toponomastica registrata dal cosiddetto Catasto napoleonico del 1815, per consentire confronti e riflessioni che possono aprire la strada ad ulteriori studi relativi al territorio di Capralba. Per la rimanente parte della ricerca si è proceduto, come di consueto, secondo un protocollo ormai ben collaudato e, pertanto, da tempo consolidato. Giancarlo Soldati ha reperito e consultato, presso l'Archivio di Stato di Cremona, la documentazione relativa all'Estimo veneto del 1685 e al Catasto napoleonico del 1815, facendone quindi lo spoglio, di fondamentale utilità per la ricostruzione storica di molti aspetti locali, non solo relativi alla toponomastica, oltre a qualche altra e diversa fonte d'archivio già dallo stesso utilizzata per la stesura dei suoi precedenti lavori relativi a Capralba, Farinate e Campisico riportati nella sezione bibliografica.

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Riconoscimenti per la mappa di sfondo

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Toponomastica di Capralba

di profB