di VALERIO FERRARI e ANDREA FINOCCHIARO
(Volume 16° dell'Atlante Toponomastico della Provincia di Cremona, Biblioteca Statale di Cremona e Comune di Vaiano Cremasco, 2019)
Mappa interattiva realizzata da BRUNO MORI
Presentazione
Riprende, con il presente volume dedicato a Vaiano Cremasco e dopo qualche anno di sospensione, la pubblicazione delle monografie afferenti all'Atlante toponomastico della provincia di Cremona: un progetto nato ormai da quasi un trentennio che si propone l'ambizioso obiettivo di raccogliere, studiare e pubblicare la macro e la microtoponomastica rurale del territorio di ciascun comune della nostra provincia, quale patrimonio linguistico, culturale e demologico dai marcati caratteri identitari, oggi guardati con particolare attenzione, il cui stretto legame con le pratiche socio-economiche tradizionali, inerenti soprattutto all'esercizio di un'agricoltura profondamente mutata nel giro di pochi decenni, ma anche a causa delle accelerate modificazioni territoriali e urbanistiche, rende sempre più precario e ad elevato rischio di scomparsa.
Pertanto l'impegno di rilevare, analizzare, fissare, in un particolare momento storico come il nostro presente, e restituire alle singole comunità locali, che ne sono state per secoli artefici e protagoniste, questa speciale componente della loro identità territoriale e culturale, sembra un doveroso compito dall'elevato valore sociale e culturale che la Biblioteca Statale di Cremona ha inteso assumersi raccogliendo il testimone ricevuto dalla Provincia di Cremona, originaria titolare del progetto, dopo che la riforma degli enti locali del 2014, con il riordino di alcune competenze loro attribuite, ha trasferito altrove anche quelle relative alle tematiche culturali.
Questa sedicesima monografia toponomastica, che si viene ad aggiungere alle precedenti già pubblicate, porta con sé, oltre all'auspicio di una futura continuità editoriale, anche l'impulso al proseguimento di un progetto che è stato anche preso ad esempio da qualche iniziale esperienza attuata in territori circostanti al nostro. Il percorso è indubbiamente ancora lungo, tuttavia vale la pena di osservare che, dalla nascita del progetto ad oggi, quasi la metà dei centotredici territori comunali appartenenti alla provincia di Cremona sono stati esplorati, con il rilevamento di una non comune quantità di macro e microtoponimi che attendono ora di essere adeguatamente studiati, confrontati con la documentazione storica ad essi relativa e, finalmente, pubblicati, anche in forma digitale, mettendo a frutto tutte le più attuali modalità di diffusione che un patrimonio immateriale di tanta rilevanza, sebbene non sempre e ovunque tenuto nella giusta considerazione, merita, affinché non vada disperso un sapere collettivo accumulatosi nel tempo e capace di restituire un insospettabile numero di preziose informazioni sovente non in altro modo recuperabili.
Altre indagini sono in via di compimento e, al pari di quella che qui si presenta, rientrano in un più ampio progetto denominato "Dimmi come ti chiami e ti dirò chi sei. Nomi e storie di campi, rogge, sorgenti e cascine dei nostri paesi", finanziato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca nell'ambito del Piano triennale delle Arti e attuato dall'Istituto Comprensivo “G. Falcone e P. Borsellino” di Offanengo (Cr). L'augurio è di vederne presto i risultati completati perché possano proseguire la collana dell'Atlante toponomastico della provincia di Cremona.
Doveroso in conclusione un ringraziamento ad enti e singole persone che hanno consentito con il loro impegno la realizzazione di questa nuova proposta editoriale.
Raffaella Barbierato
Direttore
Biblioteca Statale di Cremona
Presentazione
La conoscenza delle proprie radici è basilare per la costruzione della personalità ed acquisisce, dunque, un particolare significato e valore in rapporto all’età adolescenziale. Questo è ancor più vero in un’epoca come la nostra nella quale si tende a vivere in un presente totalizzante e appiattente, che non contribuisce alla crescita intellettuale e umana dei nostri ragazzi.
Alla luce di ciò l’Istituto comprensivo “G. Falcone e P. Borsellino” di Offanengo in rete con l’IC “R. Levi- Montalcini” di Bagnolo Cr. ha presentato nel 2018 un progetto che ha ottenuto un finanziamento del Ministero dell’Istruzione nell’ambito del Piano triennale delle arti. Grazie a tale finanziamento diverse scuole primarie e secondarie di primo grado del territorio cremasco hanno lavorato sulla toponomastica dei propri comuni, contribuendo a raccogliere e conservare una memoria preziosa e particolarmente eloquente.
Per quanto riguarda Vaiano Cremasco la ricerca ha raggiunto un grado di completezza che ne giustifica la pubblicazione e la divulgazione.
Gli studenti hanno partecipato al progetto con impegno e passione, sviluppando in tal modo nuove competenze e abilità, arrivando a conoscere in modo più approfondito il proprio territorio e dando il loro prezioso apporto alla valorizzazione del proprio paese.
Per quest’opera e per il lavoro che sottende vanno ringraziati in modo particolare il prof. Andrea Finocchiaro e le prof.sse Federica Montalbano e Laura Canavera oltre all’esperto Valerio Ferrari.
Un ringraziamento anche al Comune di Vaiano Cremasco e agli sponsor che hanno creduto nella bontà del progetto.
Romano Dasti Dirigente scolastico
IC “Falcone e Borsellino”
Offanengo
Paola Orini
Dirigente scolastico IC “R. Levi-Montalcini" Bagnolo Cremasco
Introduzione
Anche Vaiano Cremasco, come la maggior parte dei paesi appartenenti al circoscritto territorio che trova nella città di Crema il suo storico punto focale, è partecipe di quella singolare scarsità, se non quasi completa assenza, di documentazione antica non troppo generica, capace di scoraggiare chiunque si disponga a tracciarne un profilo storico-territoriale volendo partire dalle origini. Spesso, dunque, come mostrano i non molti saggi di livello dedicati a qualcuna di queste realtà territoriali cremasche, si deve ricorrere a scritti posteriori, far tesoro di testimonianze tardive o indirette, avvalersi di ogni altro genere di fonte ‒ che garantisca beninteso un adeguato grado di attendibilità ‒ nel tentativo di ricomporre il definito volto di una determinata località, inserendo quest'ultima in un quadro dai contorni meglio precisati e comprensibili. Così pure il contesto fisico e ambientale in cui una località è sorta e si è integrata dev'essere considerato un elemento determinante per capirne la genesi e l'evoluzione successiva, che con quel suo specifico contesto è venuta sviluppandosi nel tempo.
Ebbene, uno speciale aiuto, quantunque eterogeneo, all'illustrazione di diversi tra gli aspetti che concorrono a delineare la fisionomia di una data località, può giungere dallo studio della toponimia di quello specifico luogo, confermando ancora una volta il ruolo di 'scienza ausiliaria' di questa branca dell'onomastica con cui confrontare dati e risultanze evocate o indirettamente lasciate intendere da altro genere di ricerche, di analisi, di riflessioni che possono trovare in uno o più toponimi rilevati in quell'ambito territoriale, conferme, suggerimenti, spunti di approfondimento, di cui vale sempre la pena tener conto.
Sebbene ancora guardata da alcuni studiosi, storici e antichisti, con una certa sufficienza, la toponomastica è spesso l'unico documento ‒ linguistico, innanzitutto ‒ in grado di fornire informazioni o illustrare scenari geostorici che anche la documentazione scritta, specie la più antica, quando esistente, spesso ignora, per i motivi più disparati. Il singolo toponimo e, ancor meglio, l'insieme dei toponimi di una determinata area, se correttamente interpretati e messi nella giusta relazione tra loro e con il contesto ambientale, storico, sociale, economico del luogo, sono in grado di raccontare molte cose di cui si può aver perso la memoria e contribuire, in tal modo, a disegnare 'paesaggi' trascorsi, ricchi di informazioni e di stimoli, rappresentando la toponimia il riflesso del pensiero minuto e dell'azione diffusa esercitati in ogni tempo dei nostri antenati, di cui conviene non perdere il ricordo, poiché anch'essi elementi, il più delle volte non percepiti, di cui si compone l'identità sociale e culturale di ogni singola comunità locale.
Il quadro territoriale
Esteso per 6,15 chilometri quadrati, il territorio di Vaiano Cremasco si colloca nella parte nord-occidentale del Cremasco storico ‒ stabilizzatosi nella sua definita forma e dimensione sin dai primi secoli basso-medievali ‒, lungo l'antica direttrice viaria che metteva in collegamento Crema con Milano, ossia quella che un importante documento del 1361 registra come Strata Mediolani (Comparticio, 222-223, 234), in seguito ribattezzata 'via Pandina' e, poi, circa un sessantennio fa, in parte riassorbita dalla traccia della primitiva ex strada statale n. 415 "Paullese", da qualche anno (2012) raddoppiata in questo tratto, isolata dal contesto e divenuta un'arteria di veloce scorrimento.
L'abitato storico si trova, invece, allineato, insieme a quelli di Palazzo Pignano, Monte Cremasco, Bagnolo Cremasco, Chieve, Casaletto Ceredano, Rubbiano, Credera, Rovereto, Moscazzano Montodine, lungo l'orlo di terrazzo che delimita la valle di pianura del fiume Adda, separandola dal livello fondamentale della pianura, su cui si colloca la porzione migliore e più produttiva della campagna coltivata o coltivabile, grazie ai suoli più antichi ed evoluti reperibili in questo comparto geografico, ma che, in corrispondenza di Vaiano, si riduce ad un ridotto terrazzo intermedio tra il bassopiano abduano, appunto, e la depressione del Moso che si espande alle sue spalle, come si spiegherà meglio fra poco.
Anche qui, come in gran parte del Cremasco, l'insediamento umano in forma organizzata e diffusa può essere ritenuto piuttosto antico e Vaiano, in particolare, porta con evidenza nello stesso suo nome le tracce della colonizzazione romana. Come la maggior parte dei toponimi desinenti in -anus/-anum, infatti, anch'esso mostra la sua natura di nome di luogo di origine prediale romana, indicativa, cioè, di un presumibile
fundus Val(l)ianus (sebbene anche un possibile fundus Varianus potrebbe ben giustificare alcune grafie del toponimo restituite dalle fonti medievali), in quanto riferibile ad un antroponimo Valius o Vallius ovvero Varius (per cui si veda il lemma n. 298 del successivo Repertorio toponomastico). Unitamente ai molti altri analoghi rinvenibili nell'alta provincia di Cremona ‒ quali (Palazzo) Pignano, Ombriano, Vairano, Quintano, Azzano, Sergnano, ecc. ‒, nonché nell'adiacente Bassa Bergamasca ‒ Misano, Calvenzano, Masano, Bariano, ecc. ‒ questi insediamenti si ritengono cronologicamente ascrivibili all'età imperiale (Tozzi, 82-83, 89). E alla stessa epoca potrebbe essere assegnato un altro insediamento posto tra Vaiano e Palazzo Pignano, ora scomparso, ma nominato dalla lunga pergamena del 1361 inerente la manutenzione di vie, strade e ponti del Cremasco, come in Vixano (Comparticio, 221), posto in prossimità della Strata Mediolani e lungo la via Moxii, ossia la via principale che da Vaiano si dirigeva (come ancor oggi la via Cavour) verso nord, alla volta della palude del Moso, per proseguire verso Scannabue, da una parte, e verso Palazzo Pignano dall'altra. Di questo antico toponimo e della sua probabile ubicazione sono testimonianza i nomi di due campi, il Visano e il Visanello (per cui cfr. i nn. 326 e 327 del successivo Repertorio toponomastico), oggi in parte rinominati in altro modo dopo che la ex strada statale "Paullese" ne attraversò l'area nei primi anni Sessanta del secolo scorso, modificando un assetto topografico antico di secoli.
Del resto anche questo settore di territorio mostra le tracce, ancora ben riconoscibili, della centuriazione romana relativa all'ager bergomensis, al cui settore meridionale il Cremasco storico, insieme alla porzione settentrionale dell'attuale provincia di Cremona dovette appartenere, trovando il confine con il sottostante ager cremonensis lungo una linea convenzionale di separazione che verso ovest si spingeva fino alla confluenza dell'antico corso del Serio (ora Serio Morto) nell'Adda, mentre, tra il Serio e l'Oglio, doveva assestarsi poco a sud degli attuali abitati di Madignano, Izano, Offanengo, Romanengo e Soncino (Tozzi, 82).
Qui la maglia centuriale mostra i cardini orientati da nord-ovest a sud-est e i decumani da sud-ovest a nord-est ed è riferibile alla seconda centuriazione del territorio bergamasco, portata a compimento non oltre il periodo augusteo (Tozzi, 79). Oltre che sul Livello fondamentale della pianura le tracce di questa limitatio, che spiccano per densità e continuità spaziale soprattutto a sud della strada Crema-Lodi, si estendono anche su buona parte delle alluvioni antiche della valle di pianura dell'Adda, coinvolgendo i territori di Pandino, Dovera, Postino e Crespiatica, per restare nei dintorni di Vaiano (cfr. Tozzi, tav. XI).
Tuttavia l'assenza di documentazione altomedievale relativa a questi nostri territori ci impedisce di conoscere i caratteri di una continuità insediativa che in genere si rileva in presenza di abitati di età romana, sovente menzionati nella documentazione successiva, come vici et fundi o, talora, come plebes di antica tradizione. Fatto che si può, invece, constatare riguardo al vicinissimo e importante centro di Palazzo Pignano, di cui si trova richiamata una curtem que dicitur Palatium Apiniani, cum Plebe, capellis et decimis, cunctisque suis pertinetijs, in un privilegio dell'anno Mille in cui il vescovo di Piacenza, Sigifredo, enumera anche quella di Palazzo Pignano, con le sue dipendenze, tra le proprietà donate al monastero piacentino di San Savino, confermate dall'imperatore Ottone III nello stesso anno, da Enrico II nel 1004 e poi, ancora successivamente, da diversi altri imperatori (Campi, I, 160, 496, 497; Verga, 45-47). E appare quanto mai verosimile che tra le pertinenze ivi nominate rientrasse anche Vaiano, insieme a diversi altri abitati circonvicini che, dunque, rimasero assoggettati alla diocesi di Piacenza sino all'istituzione di quella di Crema, nel 1580. A Vaiano, un ricordo di tale legame con la città emiliana, si riscontra probabilmente nell'intitolazione a Sant'Antonino, patrono di Piacenza, dell'oratorio, un tempo campestre, ora ubicato al margine sud-occidentale dell'abitato, lungo l'omonima via.
Ma un più antico legame religioso con Milano sembrerebbe emergere dall'intitolazione di alcuni edifici sacri di questa zona: primo fra tutti l'ormai scomparso Oratorium S.tae Mariae de Tridicino nuncupatum, come risulta registrato dalla 'Visita Castelli' nel 1579 (Lasagni, 160), di cui rimane memoria, in territorio vaianese, nel nome del campo detto al Tradeśì (cfr. il n. 291 del Repertorio toponomastico). Si trattava di un edificio sacro dipendente dalla pieve di Palazzo Pignano, e già in fase de demolizione negli ultimi decenni del XVI secolo al fine di ricavarne materiale edilizio da destinare alla manutenzione e al restauro della stessa pieve di S. Martino, all'epoca piuttosto malandata. Ma, al di là delle vicende dell'edificio, di cui peraltro si rintraccia l'esistenza almeno dal 1359 (cfr. Fasoli 2009, 199), interessa attirare l'attenzione sulla dedicazione di questo oratorio, che richiama un culto santorale di esclusiva tradizione milanese, giacché la festività del Tredesino prende il nome dalla ricorrenza del 13 marzo (forse dell'anno 53 dell'era cristiana), giorno in cui, secondo la tradizione devozionale ambrosiana, san Barnaba apostolo fece il suo ingresso a Milano, per gettare le fondamenta della Chiesa milanese di cui, sempre per tradizione, è ritenuto il primo vescovo (cfr. Sormani, 146). Appena oltre il confine del territorio di Vaiano e già in quel di Bagnolo esisteva inoltre, in questi paraggi, l'oratorio campestre di S. Ambrogio (Lasagni, 109) ritenuto di antichissima origine da Angelo Zavaglio, tanto da rappresentare, secondo questo autore, una traccia del culto ambrosiano nel Cremasco (Zavaglio 1942, 45; Lasagni, 109). Sorgeva lungo la Via Pandina, vale a dire l'antica Strata Mediolani, dove ancora oggi alcuni campi adiacenti all'attuale "Paullese", che ne ha ricalcato il tragitto ‒ e ormai occupati da edifici industriali e commerciali ‒ si nominano al Sant'Ambrós o al Sant'Imbrós.
A queste significative intitolazioni va aggiunta quella dei santi Nazario e Celso che distingue la parrocchiale di Monte Cremasco, ricordando solamente che i corpi dei due martiri sepolti poco fuori l'antica città di Milano, furono rinvenuti e riconosciuti nel 395 da Sant'Ambrogio, per volontà del quale furono innalzati all'onore degli altari in due distinte basiliche milanesi. Ancora al vescovo Ambrogio sono legati, in ultima analisi ‒ seppur martirizzati presso Laus Pompeia, secondo la tradizione ‒, i nomi dei santi martiri Nabore e Felice, titolari dell'antica pieve di Postino di Dovera, vicinissima e confinante con Monte Cremasco.
E forse anche l'intitolazione della chiesa di Vaiano ai santi Cornelio e Cipriano martiri, potrebbe rientrare nel novero delle dedicazioni ai santi martiri delle origini, difensori della fede cristiana, alla diffusione del cui culto si dedicarono i primi missionari cattolici, la cui opera di evangelizzazione del territorio rurale prevedeva pure la dedicazione di chiese e di pievi a santi di speciale significato cultuale, scelti di volta in volta con perspicua intenzione a seconda delle contingenze e del messaggio o dell'esempio religioso ritenuto più necessario da trasmettere in ciascun distinto luogo. Circostanza, questa, che potrebbe riconoscere un ulteriore riscontro nella dedicazione della pieve di Palazzo Pignano a San Martino di Tours la cui fama di malleus haereticorum trovava eco nella sua strenua lotta sostenuta contro l'eresia ariana. Ma si tratta di tematiche, anche suggestive, che altri, con più competenza in questo campo di studi, potranno eventualmente meglio approfondire, ovvero relegare nel campo delle coincidenze casuali.
La geomorfologia e l'idrografia
Nell'ambito della pianura cremasca l'abitato di Vaiano, non meno di quelli adiacenti di Monte, Palazzo Pignano, Scannabue e Bagnolo Cremasco, sotto il profilo geomorfologico occupa una posizione piuttosto singolare, essendo sorto per la massima parte su quell'esile lingua di terre leggermente rilevate, appartenente al Livello fondamentale della pianura, che si inoltra tra due evidenti bassi topografici i quali, pur di diversa estensione e connotati da caratteri propri, segnano comunque uno stacco altimetrico di alcuni metri, sovente rappresentato da netti orli di terrazzo di origine erosiva fluviale, che delimitano con precisione le differenti unità morfologiche.
Verso ovest, infatti, si allarga il vasto bassopiano formato dalla valle di pianura del fiume Adda, mentre verso est si stende la più circoscritta regione avvallata del Moso: antica area palustre che caratterizzò per lunghi secoli la storia del territorio cremasco.
La valle dell'Adda, a sua volta, in questo tratto geografico, si compone di almeno due distinte zone, ossia: un'ampia ed espansa fascia di depositi alluvionali antichi che occupa la maggior parte del bassopiano verso la sponda orientale e che, dunque, finisce per appoggiarsi all'orlo di terrazzo che delimita da questo lato gli originari insediamenti di Cascine Gandini, Palazzo Pignano, Monte, Vaiano, Bagnolo, Chieve e Casaletto Ceredano, una seconda e più ristretta fascia di depositi alluvionali recenti e attuali, in cui è ospitato l'odierno corso fluviale, depressa di qualche metro rispetto alla zona precedente e addossata alla sponda occidentale, lodigiana.
Questo assetto territoriale spiega perché all'alta scarpata morfologica lodigiana, che strapiomba con un salto di dieci metri e più sul corso dell'Adda attuale e sul piano delle sue divagazioni recenti, si contrappone quella ben minore del versante cremasco che, in corrispondenza di Vaiano e Bagnolo, sviluppa un dislivello di soli quattro o cinque metri, pareggiando le quote della sponda lodigiana solo procedendo verso meridione, all'altezza di Rubbiano, Credera, Rovereto, Moscazzano e a seguire verso sud, vale a dire laddove il terrazzo di alluvioni antiche intermedio non esiste più.
In ambito planiziale, del resto, anche scarti di quota di modesta entità possono rappresentare importanti presupposti riguardanti l'assetto del territorio e, senza dubbio, hanno effetti decisivi riguardo al reticolo idrografico, naturale o artificiale che sia.
Per quanto riguarda il territorio di Vaiano Cremasco l'orlo di terrazzo che divide il bassopiano abduano dal Livello fondamentale della pianura si può individuare ancora abbastanza agevolmente, nonostante le modificazioni subite nel corso dei secoli, in quanto bordato ‒ di solito a un quarto di costa, partendo dalla base ‒ dalla viabilità di più antica formazione. Sicché percorrendo in direzione ovest la strada per Monte Cremasco appare evidente tale precisa circostanza, poiché si procede fiancheggiando per un certo tratto la scarpata. Sul versante opposto, se ne ritrovano le mosse dirigendosi verso Bagnolo lungo la vecchia strada di collegamento con questo abitato, ossia la via del Torchio, ora reintitolata a Giuseppe Verdi. Qui la scarpata d'erosione fluviale è continua e ben rilevabile, tranne nell'ultimo tratto, dove riconoscibili trascorse attività di escavazione ne hanno modificato il primitivo assetto, arretrandola di diverse decine di metri. In corrispondenza dell'abitato è, invece, la via Sant'Antonino a profilare l'originaria linea di costa che, sebbene molto "ritoccata" e completamente edificata, lascia intravedere la sua originaria natura. I due vicoli denominati Dosso mattina e Dosso sera, che da questa via si dipartono, ne sono ancora la manifesta traccia toponomastica, sebbene i ripetuti aggiustamenti morfologici ai fini edilizi ne abbiano addolcito le primitive pendenze. Del resto la maggior parte del paese mostra una superficie topografia ondulata percepibile percorrendone la viabilità interna che mostra deboli saliscendi.
Anche la strada più centrale del paese, che lo attraversa in senso nord-sud ‒ oggi coincidente con le vie Medaglie d'Argento e Roma ‒ segna una linea di impluvio che incide leggermente il corpo del Livello fondamentale della pianura: ai suoi lati le vie che da questa si diramano, risalgono con modesta pendenza i due lievi versanti che la fiancheggiano. Non è necessario un occhio particolarmente esperto per poter individuare tutte queste originarie mosse del terreno, basta un poco di interessata attenzione alle forme di un paesaggio che quotidianamente frequentiamo in modo per lo più distratto.
Si diceva del Moso che, sul lato nord-orientale di quella lingua di Livello fondamentale della pianura su cui sorge Vaiano, di nuovo dà forma ad una depressione valliva, qui ben evidente per la brusca rottura di livello di 4/5 m rappresentata dall'orlo di terrazzo di erosione fluviale che la delimita.
Dunque questo singolare assetto territoriale, che vede Palazzo Pignano, Monte Cremasco, Vaiano, Bagnolo allinearsi al bordo della Valle dell'Adda, con alle spalle l'avvallamento del Moso, circoscrivendo un'esile striscia di Livello fondamentale della pianura che fa da diaframma tra i due bassi topografici, deve aver determinato, nei secoli più antichi, una speciale condizione anche dal punto di vista agricolo, oltre che insediativo e viabilistico. Precedentemente alla realizzazione della rozia magna communis Creme, ossia della Cremasca-Comuna nel suo primitivo assetto di canale di esclusiva origine risorgiva, che giunse a dispensare acqua irrigua anche qui, questa parte di territorio posta sul Livello fondamentale della pianura dovette soffrire l'assenza di un'irrigazione costante e sufficientemente alimentata.
Tutte le acque di sorgiva che sgorgano abbondanti nella parte settentrionale del Cremasco e nella Bassa Bergamasca in corrispondenza del territorio in esame, finivano, infatti, per confluire nella bassura del Moso di cui mantenevano vitali i ristagni e, dunque, non potevano essere in alcun modo utilizzate a sud di quest'ultimo, poiché la scarpata morfologica che lo delimita nella sua parte meridionale ‒ e che si colloca appena a monte di Vaiano ‒ costituiva una barriera insormontabile. Sicché tutte quelle acque defluivano altrove attraverso i due più importanti scaricatori naturali delle paludi, ossia il Cresmiero e l'Acquarossa che escono dal Moso più ad est, tra Ombriano e Crema.
Con la lungimiranza, la capacità pianificatoria, organizzativa e imprenditoriale degna delle maggiori città lombarde medievali, anche il Comune di Crema, sin dal XII secolo almeno, aveva intrapreso il riordino idrografico di alcune parti di territorio, spesso con il coinvolgimento di privati, anche talora riuniti in societates finalizzate al compimento di specifiche opere. La realizzazione della rozia magna communis Creme è sicuramente da annoverare tra le imprese di più largo respiro compiute in questa prospettiva. Nata da un ampio complesso di fontanili in quel di Misano Gera d'Adda ed arricchita nel tempo da altre acque sorgive e di colo, la troviamo già in piena efficienza nella lunga pergamena inerente alla convenzione fatta nel 1361 tra il Podestà di Crema e i consoli delle porte cittadine per la manutenzione o il riattamento di strade, vie e ponti del territorio cremasco. Il suo percorso fu tracciato in modo da aggirare le paludi del Moso e, dunque, tra Palazzo Pignano e Bagnolo non poté passare che sullo stretto diaframma costituito dal terrazzo che qui rappresenta il Livello fondamentale della pianura. Dal canale principale, esteso fino a Montodine, si dipartivano, come ancor'oggi, numerosi bocchelli secondari diretti all'irrigazione delle terre attraversate e pure le campagne di Monte, Vaiano e Bagnolo poterono beneficiare di questa nuova dispensa idrica. Diversi ponti alla cui manutenzione erano obbligati diversi abitanti di Vaiano sono detti giacere super rozia que exitur (o que extrahitur) de rozia communis Creme.
La progressiva opera di conquista e di messa a coltura di nuove terre, con la conseguente maggiore richiesta di acqua per irrigarle, alla cui provvista la primitiva roggia Comuna non era più in grado di far fronte in modo soddisfacente, impose la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento che vennero trovate nel fiume Adda. Sicché nei primi decenni del secolo XV ‒ presumibilmente tra il 1412 e il 1430 e per volontà del duca di Milano, Filippo Maria Visconti ‒ dall'Adda, all'altezza di Cassano e tramite il canale Retorto, venne dedotta una nuova quota idrica, da ripartire tra roggia Pandina e roggia Badessa o Cremasca, che giunse in soccorso delle antiche portate della Comuna. Ancora oggi, come allora, queste due ultime rogge confluiscono in quel di Azzano, frazione di Torlino Vimercati, dando origine alla Cremasca-Comuna, in grado di provvedere all'irrigazione di poco meno di cinquemila ettari di campagna basso-bergamasca e cremasca occidentale.
L'analisi della medesima 'Convenzione' del 1361 ci consente di individuare, per il territorio di Vaiano, almeno una roggia privata per l'irrigazione dei fondi di un certo Iordanus de Bordigata nonché quella rozia domini Iohannis Benzoni (Comparticio, 221, 234) che sarà da individuare nell'Orietta o Quarantina, dal momento che Giovanni o Giovannino Benzoni, soprannominato Quarantino, la possedette, in origine, al fine di lucrare sulla vendita dell'acqua, finché, con il repentino dissolvimento delle sue fortune patrimoniali, anche questa roggia pervenne nelle proprietà del Comune di Crema (cfr. Piastrella 1992, 86-89).
Condizioni idrografiche analoghe si possono riconoscere, dall'esame della pergamena trecentesca, anche nei territori circostanti, mentre un'altra famosa roggia, che in qualche misura interessa anche il territorio di Vaiano Cremasco, ossia la roggia Benzona, è rammentata come rozia de Benzonibus o rozia Benzonorum. Ma di quest'ultima sembra plausibile riconoscere la preesistenza in quella rozia nova que exit de Turmo nominata da una pergamena del 1182 inerente la suddivisione di una parte del territorio di Dovera, nella quale si assume come linea di separazione proprio il corso di questa roggia ab eo loco ubi exit eundo per confines de Palazo et per confines loci Montis et loci Valiani et Bagnoli et Crespiadighe... (Manaresi, 175-176; Verga, 47).
Di tutti questi precedenti la ricca idrografia del territorio vaianese è senza dubbio tuttora debitrice. Dalla roggia Cremasca-Comuna si derivano diversi bocchelli che interessano porzioni più o meno importanti di questa campagna, a iniziare dal Bocchello Fuga di sopra, o Fuga di Vaiano che, insieme alla Quarantina, costituisce la fonte irrigua del comparto centrale del territorio di Vaiano. Ma un contributo non secondario giunge pure dal Bocchello di Monte, per il settore più occidentale, dal Bocchello di Palazzo per il tratto settentrionale, dal Bocchello dei Vimercati e dal Bocchello Fuga di Bagnolo per la parte sud-orientale, senza dimenticare il Bocchello di S. Ambrogio, diretto verso l'agro di Bagnolo, ma dedotto in quello di Vaiano.
Nel settore meridionale del territorio scorre la Roggia Nuova, formata da coli e risorgenze, che prosegue poi in quel di Bagnolo e di Chieve dove confluisce con la roggia Valmarza, mentre il confine di provincia è segnato dalla roggia Vetra o Vedria, che rappresenta un tratto dell'originario corso della Benzona, come descritto dalla pergamena del 1182 sopra citata.
Il confine nord-orientale del territorio comunale si attesta, invece, su un tratto della roggia Acquarossa, importante corso d'acqua di origini sorgive e, qui, dall'andamento ancora sostanzialmente naturale che attraversa un settore dell'antico Moso paludoso, di cui fu a lungo uno dei principali emissari. Da questa si dirama la Fossetta: breve canale su cui si imposta un'ulteriore tratto di confine comunale, verso Scannabue.
Infine, ancora la porzione settentrionale del territorio di Vaiano è percorsa per tutta la sua estensione da un tratto del Canale Vacchelli, derivato dall'Adda nei pressi di Spino ‒ ma in territorio del comune di Merlino, in provincia di Lodi che si espande per brevi tratti anche in sponda fluviale sinistra ‒ e diretto ad alimentare i Navigli cremonesi nei pressi di Genivolta. Dopo aver inciso una porzione del Livello fondamentale della pianura, incassato in una profonda trincea, il suo percorso si inoltra nell'avvallamento del Moso dove prosegue all'incirca alle quote del piano di campagna.
Uno sguardo anche alla natura litologica del substrato di questo settore territoriale sembra indispensabile, per comprenderne i trascorsi paesaggi e, di riflesso, le passate condizioni socio-economiche della popolazione locale.
Mentre i suoli profondi e prevalentemente sabbiosi o sabbioso-limosi del terrazzo centrale, di origine pleistocenica, che rappresentano, cioè, la fase morfogenetica più antica del territorio, risalente al glaciale würmiano, hanno potuto subire notevoli processi pedogenetici, quelli del bassopiano olocenico formato dalle alluvioni antiche dell'Adda, più sottili e di natura ghiaioso-sabbiosa, risultano meno evoluti, poiché più recenti rispetto ai precedenti. Nell'area del Moso, invece, i terreni si mostrano sabbioso-limosi o sabbioso-torbosi, a drenaggio lento, nonostante le opere di bonifica ne abbiano migliorato in parte le condizioni ai fini agricoli. Tanto qui, quanto nella valle dell'Adda la falda freatica è molto prossima alla superficie topografica e non sono rari gli affioramenti idrici, mentre sul terrazzo centrale i livelli freatici si incontrano a tre metri ed oltre dal piano di campagna.
Il Moso
Lungi dall'essere considerato un ambiente improduttivo od ostile, quello del Moso di Vaiano Cremasco fu, al contrario, guardato per secoli come un'importante risorsa, che il suo stato di bene comune rese disponibile a gran parte della collettività e consentì alle fasce di popolazione meno abbienti di ottenere insperati benefici, potendo disporre di terreni di pascolo per una quota di bestiame altrimenti non sostentabile, oltre che di zone in cui procurarsi fieno, strame, legna da ardere, vegetali da intreccio e da impagliatura, o in cui esercitare la pesca o l'uccellagione e così via. Per molto tempo, oltretutto, le assegnazioni ai singoli beneficiari vennero attuate per estrazione delle diverse sorti in cui il Moso era stato ripartito, al fine di ridistribuire annualmente le opportunità che questo ambiente offriva.
Dal punto di vista morfologico si tratta di un avvallamento semioccluso, poiché, come si diceva sopra, è delimitato a sud da una scarpata d'erosione fluviale che andrà probabilmente attribuita all'azione di un ramo secondario dell'Adda, come sembra suggerire il suo andamento da nord-ovest a sud-est, da assegnare a un'epoca per ora imprecisabile, che studi mirati potrebbero circoscrivere con sufficiente attendibilità. Tale scarpata, nel punto di massima curvatura della linea di scorrimento idrico che l'ha incisa, in corrispondenza di Vaiano e di Bagnolo, raggiunge dislivelli di 4 o 5 metri, mentre va attenuandosi tanto verso nord, fino a Cascine Capri o poco oltre, quanto verso sud-est, dove risulta in gran parte obliterata dalle espansioni urbanistiche di Ombriano, Sabbioni e Crema che dell'antico bacino palustre hanno finito per invadere in modo spesso piuttosto importante il margine meridionale.
L'afflusso di acque perenni, di origine sorgiva, che scaturiscono in quantità nei territori soprastanti mantenne in vita i ristagni che per diversi millenni occuparono superfici più o meno estese, a seconda delle oscillazioni climatiche che si susseguirono nel tempo, alle quali fecero riscontro corrispondenti pulsazioni in avanzata o in regresso delle acque palustri. Poiché la superficie topografica del Moso si presenta come un piano doppiamente inclinato da nord a sud e da ovest a est, a subire maggiormente questo genere di fluttuazioni furono le aree più settentrionali del Moso, che degradano dolcemente verso mezzogiorno, senza salti di quota di qualche rilievo, mentre la fascia più meridionale e più prossima alla scarpata morfologica che delimita l'avvallamento, si può ritenere che rimanesse costantemente sommersa. Qui, infatti, si collocavano i depositi di torba che vennero via via cavati, nella seconda metà del XIX secolo, ad opera della ditta Francesco Turati & C. di Milano, allo scopo di ricavarne energia termica, mediante combustione, per l'alimentazione delle proprie industrie tessili.
La torba di palude prende origine dall'accumulo plurisecolare di residui vegetali, costituiti per lo più da erbe acquatiche e riparie che si depositano sul fondo di bacini palustri e, a determinate condizioni climatiche, subiscono un processo di carbonizzazione solo parziale. Di colore nerastro e aspetto spugnoso ha un elevato contenuto di acqua che viene in gran parte eliminata per essiccazione. Si trova in giacimenti superficiali come avveniva nel Moso, dove lo strato torboso raggiungeva spessori tra i cinquanta centimetri e il metro e mezzo (Atti, 64; Ferrero, 907-908).
Del resto di questa importante risorsa, così abbondante in quest'area, si era già occupato il conte Annibale Vimercati Sanseverino che ne aveva trattato in un breve scritto intitolato Della torba, pubblicato a Crema nel 1771.
Nonostante alcuni tra i Rettori veneti inviati a governare la città di Crema e il suo territorio dalla Repubblica di Venezia, alla quale il Cremasco rimase soggetto dal 1449 al 1797, avessero avanzato sin dal XVI secolo diverse proposte volte a progettare la bonifica dell'area paludosa, nella realtà dei fatti né il governo centrale fu mai propenso a porre in atto un'operazione così radicale, né tantomeno lo furono i comuni rivieraschi, ai quali appartenevano quelle terre, destinate ad un uso collettivo. A tal proposito i "Provveditori sopra i Beni comunali", ancora nella prima metà del XVII secolo, decretavano che quelle aree potessero essere godute «...unitamente in Comun a pascolo, et uso di pascolo, facendo ubertoso il Paese, ed allevando delli animali, sì che tutti voi habbiate a sentir, con la munificenza di Sua Serenità il beneffitio insieme di detti beni communali», a condizione di riservare i boschi e gli alberi idonei «per la Casa dell'Arsenale» e che nessun terreno ivi giacente potesse essere «affittato, livellato, permutato o in qualsivoglia altro modo alienato, in alcuna minima quantità» con il divieto espresso che nessuna loro parte potesse essere «...arrata, ne coltivata, ma il tutto sia a uso et beneffitio Comune di fieno, et pascolo, ne sopra quelli esser lasciata far alcuna escavatione, ne alcuna fornace da calcina, o pietre, da qualsivoglia persona...» (Inzoli, 119; Cornelio, 83).
Un secolo e mezzo dopo la superficie occupata dall'incolto e dalla palude pare si fosse già ridotta notevolmente, secondo le stime riferite dal Rettore veneto Angelo Giustinian (Rettori veneti, 308). Ma si tratta di stime incerte, poiché calcolate con criteri disomogenei e comunque variabili nel tempo, anche in relazione alle pulsazioni climatiche o ad eventi meteorologici più o meno straordinari, e non facilmente controllabili, soprattutto rispetto alla superficie effettivamente considerata come coperta da paludi e incolti, poiché altre fonti indicano come assommanti a quasi duemila ettari le aree acquitrinose o palustri ancora nel 1750 e di poco diminuite d'estensione negli anni successivi (cfr. Sanseverino, 150-151). Dunque nel 1771 furono alcuni grandi possidenti terrieri locali ‒ il marchese Luigi Zurla, il conte Annibale Vimercati Sanseverino e Giovanni Battista Goldoniga (Rettori veneti, 309) ‒ a farsi avanti per chiedere alle autorità la possibilità di iniziare una massiccia e progressiva opera di bonifica al fine di assoggettare a coltura quella vasta landa che prometteva di essere sufficientemente produttiva, in quanto mai sfruttata dal punto di vista agronomico.
Ma nessun riscontro positivo fece seguito a tale proposta. Oltre ad essere ritenuto ancora, seppur con minore convinzione rispetto al passato, un elemento di difesa naturale alla città di Crema, di cui ancora alimentava le fosse attraverso l'acqua del Cresmiero, bisogna considerare che il Moso fu per lungo tempo considerato un'importante riserva idrica le cui acque, ricche di sostanza organica in sospensione, rappresentavano un ineguagliabile fattore di fertilità per le terre irrigate dall'Acquarossa, che ne era il più importante vettore, da Ombriano in giù. Pertanto anche i proprietari terrieri di quella zona si opposero tenacemente alla bonifica delle ultime paludi rimaste.
Si dovrà attendere il secolo XIX per assistere alla progressiva alienazione ai privati di questa vasta distesa di terre depresse e paludose, ancora quasi per intero di proprietà comunale. Un primo provvedimento fu emanato da Napoleone Bonaparte che, con decreto 25 luglio 1806, dispose la cessione in affitto o a livello perpetuo mediante asta dei beni comunali incolti, esclusa la sola superficie necessaria al pascolo del bestiame esistente nel comune interessato. Nel 1838, poi, il Governo austriaco impose il prosciugamento delle paludi e la messa a coltura dei terreni incolti. E nonostante l'opposizione di diversi comuni, che si vedevano in tal modo defraudati di una proprietà per secoli appartenuta all'intera collettività, i nuovi proprietari provvidero ben presto a bonificarla e a ridurla a coltura, dando senz’altro prevalenza al prato, senza trascurare tuttavia altre colture, come il lino, il riso od anche i cereali consueti. Sicché nella prima metà del secolo XIX del Moso paludoso non rimanevano che circa 10 mila pertiche, per due terzi possedute da privati e per un solo terzo di proprietà comunale, sfruttate come terreno di pascolo e luogo in cui rifornirsi di strame (Sanseverino, 150-151).
Nel 1843, in particolare, si calcolava in pertiche 6880 l’estensione delle paludi del Moso. Circa la metà venne poi acquistata, nel 1866, dalla ditta Turati di Milano, come si diceva sopra, che vi estrasse per diversi anni quella famosa torba già individuata da Annibale Vimercati Sanseverino diversi decenni addietro, considerata di ottima qualità, riducendo a coltura le superfici cavate (Atti, 64; Benvenuti, 776), realizzandovi pure il tuttora esistente Cavo Turati, confluente nel Cresmiero, al fine di sgrondare i ristagni, mettere in asciutto i giacimenti torbosi e agevolare, così, le opere di escavazione. Nel 1846, poi, buona parte delle terre giacenti negli ultimi residui palustri, e appartenenti ai beni comunali di Vaiano, fu acquistata dal conte Carlo Vimercati Sanseverino che, dopo aver temporeggiato alcuni decenni a causa delle effettive difficoltà a intraprendere un'opera di bonifica dimensioni non comuni, che richiedeva l'investimento di notevoli capitali, ma anche un analogo e contemporaneo impegno da parte dei confinanti affinché la bonifica di una singola parte non dovesse tornare ad impaludarsi, finalmente, con l'occasione dello scavo del Canale Vacchelli, il cui tragitto avrebbe investito in pieno le terre del Moso tra il 1889 e il 1890, dando forma ad un'autentica trincea verso cui si sarebbero potute sgrondare le acque stagnanti, poterono prendere avvio le opere di bonifica e di razionalizzazione fondiaria che modificarono profondamente l'assetto topografico e il paesaggio di questa estesa e, sotto molti punti di vista, particolarissima area (Cornelio, 30-32).
Un ultimo intervento di bonifica riguardante circa quaranta ettari di terre incolte prese avvio all'inizio del Novecento, ad opera degli aderenti al Movimento Cattolico di Vaiano Cremasco e con il sostegno della locale Cassa Rurale, per la creazione di un'azienda modello. Ma, nonostante i risultati positivi, l'insostenibilità economica dell'operazione, dopo alcuni anni, costrinse la Cassa Rurale a vendere i fondi che divennero per circa la metà proprietà Donati e l'altra parte, divisa in piccoli lotti, fu acquistata da diversi agricoltori locali (Cornelio, 58).
Toponomastica e antichi paesaggi
Lo studio analitico della toponomastica rurale, e in parte anche urbana, di Vaiano, pur nella cronica scarsità di documentazione relativa alle epoche più antiche che affligge la maggior parte dei paesi del Cremasco, consente di delineare alcuni interessanti aspetti del paesaggio storico locale, di cui talora non rimane altra traccia che proprio quella toponomastica. Considerati nel loro insieme, i macro e i microtoponimi ovvero i semplici appellativi che ancora vivono nell'uso della popolazione locale, integrati da quelli storici che si sono in parte estinti nel tempo, consentono una visione articolata e multiforme di un territorio dai caratteri non di rado piuttosto differenti rispetto alla situazione attuale, che i confronti e le interrelazioni tra i singoli nomi di luogo di norma confermano.
Della morfologia del territorio si è già detto, e a sottolinearne gli elementi più caratterizzanti la microtoponomastica registra nomi di campi come la Còsta, al Dòs, il Dossadello, al Ciós Muntù, relativi agli alti topografici, sebbene diversi di tali accidenti morfologici non siano più così evidenti, poiché spianati o in altro modo modificati. A questi fanno riscontro la Àl e la Alèta, al Mós, e gli storici Padello e Padaletto, Prato basso, Campo della foppa, che segnalano terreni avvallati e spesso paludosi, come succedeva su larga scala per il Moso di Vaiano. Ma anche il Pendente e al Pendentì suggeriscono uno specifico assetto del terreno, quale risultato dell'abbassamento di un dosso avvenuto già tra XVIII e XIX secolo.
A questo aspetto appare intimamente legato quello relativo alla litologia dei terreni, che emerge con evidenza dai toponimi la Gèra, la Geróla, al Gerù e dagli analoghi storici Gerretta, Gerolina, Gerre: tutti ubicati sulle alluvioni antiche della valle dell'Adda, costituite da materiali più grossolani e scarsamente pedogenizzati rispetto ai terreni del Livello fondamentale della pianura, che, invece, sono principalmente sabbioso-limosi e con uno strato di suolo più evoluto. Del resto questa plaga dai suoli eminentemente ghiaiosi, pur non condividendone il nome, fa parte a tutti gli effetti della vasta regione storicamente nota come Gera d'Adda, a cui appartenevano, ad esempio, i confinanti territori di Dovera con Postino e di Crespiatica. Ma conseguenze della morfologia avvallata del terreno e della connessa superficialità della falda freatica si rivelano anche gli appellativi discesi dalla base lama, che dall'iniziale significato di ristagno d'acqua è poi passata ad individuare, in ambito agricolo, terreni per loro natura costantemente umidi o intrisi d'acqua e destinati in modo pressoché esclusivo a prato permanente o a prato-pascolo. Da qui i vari agronimi Lama, Lama Aquarósa, Lama dal bósch, Lama dal cùnt, Lama Donati, Lama grànda, Lama lùnga, Lama tùnda, Lamèt, Lamù, per la maggior parte ubicati nella depressione del Moso, come era facile prevedere.
Ma in rapporto proprio alla superficialità della prima falda acquifera è spesso legata la scelta colturale che viene privilegiata, preferendo il prato al seminativo, e in particolar modo un tipo speciale di prato, ossia la marcita, che anche a Vaiano Cremasco ha determinato il nome di alcuni appezzamenti agricoli, come si può dedurre dal repertorio che segue e dall'allegata carta toponomastica, scorrendo i quali si potranno senza dubbio ricavare numerose altre notizie su cui non pare indispensabile soffermarsi in questo capitolo.
Può essere più interessante, invece, attirare l'attenzione sull'ampia zona sud-occidentale del territorio di Vaiano a lungo denominata nella sua interezza come Ronco o Ronchi, toponimo che ancora resiste, sebbene frammentato da altre sovrapposizioni microtoponomastiche successive. Poiché il termine runcus nell'accezione più comune e diffusa in ambito toponomastico di "terreno strappato all'incolto e messo a coltura" è di tradizione medievale, il ritrovarlo qui a denominare una vasta plaga al fianco delle numerose Gerre, delle Valli, dei Dossi, lascia intendere che questo esteso settore di territorio, plasmato dalla dinamica fluviale dell'Adda in epoche molto antiche, poté mantenere una natura piuttosto selvatica e indomita per lungo tempo e, nonostante conservi qualche traccia della centuriazione romana, dovette ritornare ad essere dominato dalla selva e dalla palude in epoche successive, finché, in epoca presumibilmente basso-medievale, fu via via riconquistato alla produzione agricola, in verosimile concomitanza con più urgenti necessità alimentari dettate dall'incremento demografico che caratterizzò quei secoli in modo generalizzato
E, per restare in ambito agrario, un altro significativo aspetto della produzione locale deducibile dalle tracce che la toponomastica è in grado di evocare circa gli antichi paesaggi un tempo caratteristici del territorio in esame, riguarda la viticoltura, ovunque diffusa anche in pianura come imprescindibile componente alimentare ed economica sin dalle epoche più remote e sino almeno all'età moderna. In ambito locale vide il suo iniziale declino a seguito dei massicci attacchi dell'oidio o crittogama della vite e della peronospora della vite ‒ importati accidentalmente dall'America Settentrionale e diffusisi anche da noi nella seconda metà del XIX secolo ‒, per scomparire quasi completamente nei primi decenni del Novecento, giudicando più conveniente l'importazione delle uve, e poi direttamente del vino, dalle aree viticole più specializzate, come il colle di San Colombano al Lambro, il Piacentino, il Piemonte e così via.
A Vaiano Cremasco, un'ampia zona posta nelle adiacenze dell'abitato, sul lato orientale, concentra un buon numero di toponimi di origine, per così dire, viticola. Qui si incontrano, infatti diversi appezzamenti a nome la Breda, termine che, già in epoca basso-medievale, indicava terreni chiusi, posti nei pressi dell'abitato, e coltivati prevalentemente a vite e alberi da frutto. Sempre nella medesima zona si rilevano ‒ o si rilevavano, poiché le espansioni residenziali del paese ne hanno occupato in buona parte le originarie superfici agricole ‒ toponimi quali al Pignól, al Rusér, al Bianchiról, insieme allo scomparso il Vernazzo, che dipendono dal nome di omonimi vitigni o dal tipo di uva che vi si produceva. Al loro fianco si trovano le Piàne, altro appellativo tratto dalla terminologia agraria che indicava con questo vocabolo gli spazi intercalari ai filari di viti maritate ad aceri campestri o ad altri alberi d'alto fusto: ulteriore spunto da cui era tratto il nome del campo detto l'Oppio, che reinterpreta il nome dialettale dell'acero campestre, ossia l'òpe. Spesso anche il tipo toponimico Novella, con le diverse varianti possibili, richiama il periodico rinnovo delle vecchie vigne tramite l'impianto di viti novelle, appunto; mentre più immediato è il significato de i Vidurèi, al Vignól, le Égne con gli obsoleti la Vigna e la Vignoletta. Non meno evocativi, infine, sono i toponimi derivati dal termine dialettale ciós con cui si individuavano terreni cinti da siepi e coltivati a vite, a piante da frutto e ad altri prodotti orticoli, come dicono i nomi al Ciós, al Ciós da Palàs, al Ciuśèt, al Ciós muntù, segnalando che un toponimo ad Closum si registrava a Vaiano sin dal XIV secolo.
Durante i secoli in cui il Cremasco fece parte dei Domini di terraferma della Repubblica di Venezia, Vaiano fu sede di uno degli iniziali cinque 'tezzoni' funzionanti in terra cremasca, ai quali, se ne aggiunse più tardi un sesto a Trescore Cremasco (Panciera, 73; Poloni, 34-36). Con tale nome si definivano le nitriere, ossia il complesso degli edifici e delle aree di servizio destinati alla produzione del salnitro, come meglio spiegato nel repertorio che segue, alla voce Burg Teśù, toponimo che ricordava l'esistenza di simili strutture, in origine isolate rispetto al resto del paese e vicine soltanto all'oratorio, un tempo campestre, di S. Antonino. Ciò presuppone l'esistenza di grosse greggi di pecore ‒ le cui deiezioni accumulate sul suolo dei ricoveri notturni erano destinate di preferenza alla produzione della 'terra da salnitro' ‒, condotte a pascolare in special modo sulle terre comuni, oltre che in diversi altri settori del territorio, come nei prati-pascoli o nei campi, una volta liberati dalle colture stagionali. All'attività pastorale si potranno forse ricondurre i toponimi de le Campàgne e gli storici Campagna e Campagnetta, sapendo che in epoca medievale e successiva il termine comune campagna definiva terre poco produttive, spesso lasciate incolte e destinate al pascolo. Ma forse a questa attività potrebbero essere legati anche i nomi al Campàs e al Campasù, l'individualità toponomastica dei quali ‒ che si ripete con costanza e con una certa regolarità in gran parte del territorio provinciale ‒ parrebbe essere la spia di una destinazione specifica.
Come si vede, l'analisi della toponomastica rurale, anche di un piccolo territorio, consente di delineare assetti territoriali, socio-economici o colturali trascorsi con grande fedeltà e con impareggiabile capacità evocativa, che i pochi esempi qui riportati rendono tangibile. E ancor più sorprendente sarebbe senz'altro questo genere di narrazione linguistico-territoriale potendo correlare tra loro i risultati toponomastici, sia attuali sia storici, relativi ad ambiti geografici via via più estesi, consentendo, in tal caso, diverse considerazioni di più ampio respiro, la constatazione di convergenze o di divergenze, la registrazione di conformità o di difformità interessanti e particolarmente utili alla ricomposizione di una geostoria di valenza più o meno locale troppo spesso trascurata se non, addirittura, ignorata.
Spunti per una storia dell'insediamento
Ogni qual volta ci siamo addentrati nel suo studio, la storia di Vaiano Cremasco, non ha mancato di destare interesse. Una buona varietà cognominale e una marcata peculiarità relativa ad alcuni specifici cognomi, come Alchieri, Aiolfi, Sponchioni, ne caratterizza da diversi secoli il tessuto sociale (cfr. Cognomi, 55, 60, 658). Intorno alla metà del Cinquecento a Vaiano, che si presenta ormai come una comunità rurale ben organizzata ed articolata, come del resto la maggior parte dei centri della pianura lombarda, troviamo la figura di un parroco piuttosto singolare: Pecino, uomo colto e amante dei classici, tiene lezioni pubbliche presso la sua scuola di dottrina, fornendo i rudimenti del leggere e dello scrivere perlopiù ai figli degli artigiani e dei massari del paese. È forte la devozione cristiana, ma essa si accompagna a rituali dal sapore ancora pagano: nella visita pastorale del 1579 si ammonisce il parroco a vietare l'usanza dei fedeli di sventolare il messale sulle parti del corpo malate di risipola, convinti che l'aria sacra che ne deriva possa portare alla guarigione (Finocchiaro, 100-106, 220-226; Piantelli, 473).
Si trattava certamente di retaggi antichi e che venivano tramandati oralmente di generazione in generazione, giungendo, in alcuni casi, fino ai nostri giorni: si ricordi a tal proposito che, fino agli anni Sessanta del Novecento, a Carnevale, giravano per il paese i burdù, giovani mascherati (nel dialetto cremasco burda o burdina erano sia la maschera sia la persona mascherata, cfr. Geroldi, 56) che impersonavano figure malefiche giunte dalla "burda", parola di probabile origine prelatina, forse celtica, che oltre a definire la nebbia greve che si alza da stagni e corsi d'acqua e che si spande nei luoghi paludosi lontani dal centro abitato (cfr. Ladina,185-212), ha finito poi per identificare, in buona parte del Nord Italia, figure minacciose, streghe, spiriti o esseri demoniaci (cfr. Bracchi, 64).
Non minore interesse hanno suscitato gli studi sulla toponomastica di Vaiano Cremasco raccolti in questo volume. Innanzitutto il nome stesso del paese, che si può plausibilmente far ascendere all'età romana. La sua forma toponimica documentata di Val(l)ianus, infatti e come già ricordato, può essere connessa con un antroponimo latino Valius o Vallius, un gentilizio di origine italica, attestato in diverse iscrizioni latine, principalmente intorno a Roma, ma frequente anche in iscrizioni della Dalmazia e della Spagna: un Lucius Vallius compare in un'iscrizione umbra del 30 a.C.; un certo L(ucius) Vallius Solon pose una dedica a Silvano nel 111 d.C. a Roma; un'altra iscrizione, rinvenuta sempre a Roma, ricorda L. Vallius Telesphorus e suo figlio L. Vallius Tranquillianus; un Marcus Vallius in Dalmatia, un Vallius Severus in Hispania, solo per citarne alcuni. Ma il personaggio più noto è certamente C(aio) Vallio Massimiano, procuratore equestre delle province di Macedonia, Betica, Lusitania e Mauretania; in quest'ultima provincia è attestato nel 177 d.C. (Migliorati, 543-544).
Non mancano le attestazioni di toponimi direttamente legati a tale antroponimo: in Dalmazia un'iscrizione ci testimonia l'esistenza di un locus qui nunc Valianus dicitur dal nome del colonizzatore di un terreno adibito a vigneto (CIL 03, 06423); ma certamente più interessanti sono i fundi Valiani attestati nella Tabula Alimentaria di Velleia, oggi in provincia di Piacenza: essa, infatti, attesta la presenza della gens Vallia già in età traianea in un'area geografica a noi prossima (Criniti, 215). Oltre a Vaiano Cremasco, peraltro, sono presenti in Italia altre località con lo stesso toponimo: nel Lazio, Vaiano frazione di Castiglione in Teverina (Viterbo), non lontano dal Lago di Bolsena; in Umbria Vaiano frazione di Castiglione del Lago (Perugia), nei pressi del Lago di Chiusi; in Toscana, Vaiano in provincia di Prato; e, più vicine a noi, Vaiano Valle, località rurale della periferia meridionale di Milano e Vaiano Lodigiano, frazione di Merlino (Lodi).
Ancor più frequenti sono le iscrizioni relative al nome Varius, a cui si potrebbe risalire in alternativa, considerando la forma grafica Vayanum, anch'essa documentata riguardo al nostro toponimo. Oltre alle numerose attestate in Pannonia, Gallia, Lazio, Achaia, Etruria, Dacia, Macedonia, Dalmazia, Numidia, Venetia et Histria, Numidia, Britannia, Norico, alcune iscrizioni sono attestate anche nel territorio di Bergamo (ad esempio CIL V, 5140 da Urgnano e CIL V, 5179 da Zanica). In definitiva, se non sarà certo possibile identificare il personaggio che diede nome al paese di Vaiano Cremasco, tuttavia non è improbabile ipotizzare che egli appartenesse alla gens italica dei Vallii o a quella dei Varii, entrambe di antico lignaggio e prestigio.
Nella più antica toponomastica di Vaiano, inoltre, si ritrova pure una località, ormai scomparsa, citata come in Vixano, posta in prossimità della Strata Mediolani: il toponimo, anch'esso riconducibile a un antroponimo latino (Visius o Vesius) ‒ più raro rispetto ai precedenti, ma di cui non mancano attestazioni epigrafiche, specie nelle Venezie (Verona, CIL V, 3825) ‒, aggiungerebbe un ulteriore elemento risalente all'età romana. Solo per via induttiva si può presumere una continuità abitativa di questi primi insediamenti nel territorio vaianese, per mancanza sia di fonti scritte altomedievali, sia di resti archeologici, poiché il frequente impiego di materiali deperibili, per lo più lignei, ha spesso condizionato la persistenza di tracce evidenti, al contrario di quanto è, invece, accaduto per la sontuosa villa di Palazzo Pignano. Eppure una continuità insediativa rimane verosimilmente ipotizzabile, sia per l'evidente persistenza toponomastica relativa all'abitato principale, Vaiano, sia per le condizioni ambientali di un territorio ambito che, in epoca tardoantica e medievale, offriva grandi risorse non solo agricole, grazie alla maggior abbondanza di zone boschive, di acque e di paludi, in vario modo sfruttate, anche come ager compascuus, lasciando intravedere i presupposti di un'attività zootecnica locale perdurata con analoghe modalità, sino al XIX secolo, in buona parte dell'area del Moso.
Se, infatti, la centuriazione di questa porzione della provincia di Cremona, che in età romana rientrava nell'ager bergomensis, risale già alla prima metà del I secolo a.C., tuttavia, è probabile che essa fosse interessata piuttosto da insediamenti sparsi e di modeste dimensioni, almeno fino alla fine del I secolo a.C.-inizi I secolo d.C, fase di una seconda centuriazione, in età augustea, come farebbero pensare i rinvenimenti archeologici del Cremasco, perlopiù databili a partire appunto dall'età augustea (cfr. Mete, 334-349).
La presenza fino ai nostri giorni di tracce centuriali è probabilmente la migliore testimonianza di continuità abitativa e produttiva del Cremasco, pur intervallata da periodi di declino. D'altra parte, tratti della primigenia centuriazione dell'ager bergomensis sono rintracciabili fra Vaiano, Monte, Bagnolo Cremasco, Palazzo Pignano e nelle zone circostanti. Riguardo in particolare a Vaiano, Pierluigi Tozzi segnala i seguenti cardines: uno in quello che oggi è, all'incirca, il tratto superiore di via Cavour, un altro nel sentiero che fa da confine agli attuali campi denominati Santulì, Barnàs e Lame, un altro ancora inizia nella parte settentrionale di via Manzoni e prosegue nel sentiero che separa i campi Prà màrs e Piangént da sùra e Piangént da sóta; un decumano è rintracciabile nell'attuale via della Liberazione che passa anche accanto al cimitero (Tozzi, 82 e Tav. XI).
Tracce di una prima frequentazione del territorio si riferiscono già al I-II secolo d.C. con resti di un impianto di prima età imperiale nella zona della villa di Palazzo Pignano, in accordo con il generale popolamento della parte meridionale dell'ager bergomensis in seguito alla seconda centuriazione, attuata già in età augustea. A tale primo periodo di sviluppo, forse seguì una fase di recessione nel II-III secolo, da collegare alle incursioni degli Alamanni (Sacchi et al., 27-37).
Tuttavia, il consolidamento degli insediamenti, in un primo tempo stabili ma rarefatti, nella porzione più settentrionale del Cremasco, dove Vaiano si trova, avvenne probabilmente ancora più tardi, ostacolato verosimilmente dalla maggiore vastità di aree paludose o acquitrinose, un tempo molto più diffuse ed estese.
A tal proposito, viene facilmente da pensare che un primo impulso allo sfruttamento delle zone circostanti sia partito dal successivo sviluppo della villa di Palazzo Pignano: essa si profila sicuramente come luogo di otium dei ricchi proprietari, come testimoniano i mosaici, i resti di finestre, un sistema di riscaldamento delle stanze; ma anche come punto di riferimento e di controllo delle proprietà terriere che la circondavano, coltivate dai contadini asserviti ai padroni della villa. La costruzione e lo sviluppo di quest'ultima, fra il IV e il V secolo, è forse da mettere in relazione con lo spostamento della capitale dell'impero d'Occidente: Roma, che nel 286 cede a Milano questo importante ruolo che verrà ivi mantenuto fino al 402 (Roffia, 266).
La villa, collegata al primo edificio religioso, definito "la Rotonda" per la sua pianta circolare, dotato di fonte battesimale, dovette fungere da polo di attrazione e di aggregazione della popolazione rurale. Più o meno contemporaneamente, forse poco prima o poco dopo, dovettero sorgere le piccole e medie proprietà fondiarie che gravitavano attorno alla villa, ma dovevano essere popolate da individui prevalentemente liberi che gestivano fundi di un certo peso economico: qui, possiamo immaginare, si potrebbero inserire le origini di Vixanus e di Vallianus/Vayanus.
Da ricordare, d'altra parte, che l'Italia settentrionale fu perlopiù esente dal fenomeno dell'ampio latifondo, assai più frequente in altre parti dell'impero, sebbene gli ultimi studi abbiano accertato che, tra la media e la tarda età imperiale, il mutamento delle condizioni economiche provocò anche nell'area padana un accorpamento dei fondi: eppure il fenomeno non provocò la scomparsa delle piccole e medie proprietà (Brogiolo 1996). Da qui è presumibile riconoscere il progressivo popolamento capillare della campagna cremasca con il sorgere di insediamenti agricoli, alcuni dei quali poterono poi evolversi in villaggi e mantenere una continuità abitativa attraverso i secoli (Vaiano, Ombriano, Quintano, Vairano, Madignano, Izano; Palazzo Pignano, Vixanum, Rubbiano, Moscazzano...). È dimostrata, ad esempio nella vicina pianura emiliana, la presenza di uno o due insediamenti rustici per ogni singola centuria, di solito in punti strategici di passaggio o di incrocio di importanti vie centuriali; una situazione che possiamo immaginare simile per la nostra campagna. E in particolare, per la porzione di territorio oggetto di questo studio, sarà da rimarcare l'importanza della via per Milano: lo stretto collegamento con la capitale, d'altra parte, come già ricordato, si riscontra nell'intitolazione dei più significativi luoghi di culto locali: i santi Nazario e Celso della parrocchiale di Monte Cremasco; e l'antico oratorio del Tredesino su cui si è già ampiamente dissertato. Culti, tradizioni, santi patroni viaggiano con le persone: queste evidenze, dunque, fanno supporre un afflusso di genti dal territorio milanese, ipotizzabile già appunto in età tardo antica, considerando la precocità del culto di tali santi, incluso forse anche quello di San Martino di Tours, cui è intitolata la pieve di Palazzo.
A un primo popolamento dell'area in età tardoantica, è possibile immaginare che sia seguito, nei secoli appena successivi la fine dell'Impero d'Occidente, una fase di decadenza, testimoniata dall'abbandono della domus di Palazzo Pignano: qui, proprio fra la fine del V e gli inizi del VI secolo, si rinvengono tracce di capanne e di tombe scavate sui resti della villa stessa, il che testimonia da un lato la decadenza del complesso residenziale, dall'altro una continuità abitativa, situazione immaginabile anche per le vicine località di Vaiano e di Vixanum. D'altra parte, come noto, la caduta dell'Impero corrispose a un progressivo deterioramento di strutture abitative e infrastrutturali, come strade, ponti, stationes, oltre che allo sfaldamento del sistema organizzativo di insediamenti urbani e rurali; il declino dell'assetto amministrativo romano e la disgregazione delle linee difensive resero più frequenti le incursioni violente di popolazioni di passaggio o più semplicemente di bande di predoni: calo demografico, economia di sussistenza, generale impoverimento.
Una seconda fase di insediamento e di ripresa produttiva si può ipotizzare in epoca longobarda, intorno agli inizi del VII secolo. La maggior parte dei rinvenimenti longobardi della provincia di Cremona, seppur riferiti quasi sempre a corredi tombali, si concentra proprio nel Cremasco: riguardo all'area di nostra trattazione non si può non citare il celebre anello-sigillo recante il nome di Arichis, rinvenuto a Palazzo Pignano (Lusuardi Siena, 14, 128). Tale manufatto, purtroppo ormai perduto, fa pensare alla presenza di gastaldi, alti funzionari regi, che amministravano il territorio in nome del re. Palazzo Pignano potrebbe aver assunto la funzione di centro giurisdizionale di un'area di cui lo stesso Vaiano faceva parte (De Marchi, 32).
La concentrazione delle fonti archeologiche longobarde nel Cremasco (basti citare Offanengo), insieme alla presenza di numerosi toponimi, viventi e non viventi, che il suffisso -eng/ing consente di far risalire per lo più ad un'origine germanica, rendono indubitabile la colonizzazione di questi territori da parte dei nuovi invasori, specie durante il VII secolo (cfr. Ferrari 2014, 25-26).
A una prima fase, certamente traumatica per la popolazione locale romana o romanizzata, che venne presumibilmente espropriata delle proprie terre, ne dovette seguire una di maggiore stabilità, coincidente con la successiva romanizzazione e cristianizzazione degli stessi Longobardi: la posizione fra l'Adda e il Serio, la ricchezza di acque, boschi, acquitrini, la posizione strategica di raccordo fra le zone pedemontane di Bergamo e la pianura, oltre che la vicinanza a Milano, rendevano la zona certamente molto appetibile. Anche per questo è ipotizzabile un'acquisizione regia, in seguito alle confische operate dai sovrani Agilulfo e Ariperto II (De Marchi, 31-32).
Dell'eventuale presenza longobarda nella specifica area di Vaiano non è dato sapere: certo è che nemmeno nella vicina area di Palazzo Pignano, che, nonostante la decadenza, dovette restare il centro maggiore vista anche la presenza di un edificio religioso di una certa rilevanza, si sono rinvenute tracce significative della frequentazione longobarda, come invece accade a Offanengo. Pertanto, si ha l'impressione che in tale area vi sia stata da un lato una continuità abitativa da parte della precedente popolazione autoctona, seppur con un presumibile calo demografico; dall'altra un nuovo afflusso di individui o di famiglie, su impulso del recente assetto organizzativo dei nuovi dominatori longobardi. Si tratta forse del caso, già ravvisato in altri vici dell'Italia settentrionale, in cui le terre, pur espropriate, continuarono ad essere coltivate dagli agricoltori locali, sotto il controllo di gastaldi e guerrieri longobardi: si pensi, ad esempio, ai casi di Collegno in Piemonte o di Spilamberto (Modena); in quest'ultimo si riscontra un ridotto numero di longobardi di alto rango, dei quali non si conosce la residenza, sostenuto dal lavoro della popolazione autoctona che risiedeva in una serie di piccoli centri circostanti (cfr. Longobardi, 141-143). Anche lì, peraltro, è attestata la presenza di una piccola comunità contadina residente sui ruderi di una villa romana riutilizzata: circostanza che ricorda Palazzo Pignano. In ogni caso, come per il resto delle zone occupate in Italia, una mescolanza fra romani e longobardi avvenne indubbiamente anche qui: se l'apporto genetico dovette essere esiguo, in quanto i nuovi invasori rappresentavano una percentuale molto più bassa rispetto alla popolazione locale, tuttavia, come noto, i Longobardi lasciarono un'impronta significativa nel diritto, nei costumi, nella lingua, nell'onomastica e nella toponomastica. Riguardo proprio all'aspetto linguistico, basti pensare alle numerose parole di origine longobarda che entrarono a far parte sia della lingua italiana sia dei dialetti: si ricordi, per portare un esempio della toponimia locale cremasca, alle località a nome Bréda, Binda, Gazzo, Gavazzolo, nonché al nostro Galzanìghe. La nuova moda investe anche l'onomastica, come testimoniano i cognomi locali che discendono da nomi longobardi utilizzati come patronimici: è il caso dei cognomi locali Armanni e Aiolfi. Allo stesso modo, quando ai Longobardi si sostituirono i Franchi, la sorte degli abitanti di Vaiano non dovette cambiare di molto: asserviti a un nuovo dominatore, assimilarono mode onomastiche (da cui, ad esempio, i cognomi Alchieri, Inzoli), ma continuarono immutate la coltivazione dei campi e, ad essa funzionale, l'assetto delle acque circostanti.
Giungiamo così, dopo il frazionamento politico seguito alla dissoluzione dell'impero carolingio, al Basso medioevo, epoca in cui, nel nostro territorio, crescerà l'importanza della nuova città di Crema, attorno alla quale graviteranno i centri rurali circostanti come Vaiano. Ma questa è storia già più nota grazie alla maggiore ricchezza di fonti documentarie. Le battaglie per l'autonomia contro il Barbarossa, il dominio dei Visconti e dei Benzoni, fino all'assoggettamento del Cremasco alla Repubblica di Venezia, dal 1449 al 1797.
È semmai, riguardo agli ultimi secoli, che la toponomastica ci viene in aiuto riguardo alla storia del paesaggio: "gerre", "lame", "ronchi" sono microtoponimi che testimoniano una continua lotta fra l'uomo e la natura per la regolarizzazione delle acque, la bonifica di zone paludose, il diuturno processo di diboscamento al fine di guadagnare terreni per la coltivazione. Eppure, si trattava di battaglie finalizzate ad accrescere il fabbisogno locale di alimenti, derivanti da un'agricoltura essenzialmente di sussistenza. La storia recente è, invece, più impattante: la meccanizzazione agricola e lo sviluppo industriale, se da una parte hanno recato abbondanza di cibo e benessere economico, dall'altra hanno modificato il paesaggio in modo inesorabile e profondo, spesso deturpandolo, hanno cancellato le antiche tradizioni e disperso quel senso di appartenenza alla cultura dei propri luoghi d'origine che per secoli avevano caratterizzato i diversi territori. Nuove strade, nuovi edifici industriali e commerciali di grandi dimensioni, nuove espansioni urbane dilaganti hanno invaso campi e coperto corsi d'acqua minori, obliterandone anche il nome: questo lavoro, dunque, appena in tempo, grazie ai ricordi degli ultimi testimoni che hanno vissuto questa fase di grande trasformazione, ha salvato un prezioso patrimonio linguistico, storico e antropologico che, purtroppo, in diversi altri luoghi, è destinato all'oblio.
È senza dubbio motivo di orgoglio il sapere che, dove un tempo si estendeva il campo Cattaneo, sul quale lavoratori locali, spesso ancora fanciulli, faticavano per il provento di qualche proprietario benestante, oggi si ergono gli edifici della scuola elementare e della scuola media; e tuttavia, riempiono di nostalgici ricordi i racconti degli anziani che rievocano campagne dorate dal grano e illuminate da sciami di lucciole (Ladina, 207). Solo un diverso modello di sviluppo potrà trovare il giusto compromesso fra modernità e tradizione che, insieme alla salute psicofisica di ciascuno di noi, sappia anche preservare le nostre radici più autentiche.
(A) = Archivio di Stato di Cremona, Fondo catasto, Copia dell'estimo 1685, Vaiano Cremasco.
(B) = Archivio di Stato di Cremona, Fondo Catasto, Comune di Vaiano, Dipartimento dell'Alto Po, mappa e tavola, 1815.
(C) = Archivio di Stato di Milano, Catasto lombardo veneto, Censo stabile, Mappe originali, Comune censuario di Vajano, Distretto IX di Crema, Provincia di Lodi e Crema,1831-1852.
(D) = Quaderno dei gelsi (1831), annesso al Catasto lombardo-veneto del 1831-1852.
Nota alla consultazione
La raccolta che segue comprende i toponimi ancora viventi sul territorio del comune di Vaiano Cremasco rilevati possibilmente nella loro forma dialettale, oltre a quelli rintracciati nelle fonti storiche più facilmente reperibili. L’elenco è ordinato alfabeticamente e per i termini in vernacolo adotta una trascrizione il più vicina possibile all’ortografia italiana – che si ritiene sufficiente alle finalità di identificazione fonetica qui perseguite – introducendo solo l’uso di pochi segni convenzionali per rendere alcuni suoni caratteristici, come la dieresi per u e o turbate (ü corrisponde a u francese e ö a eu francese) e, nella trascrizione fonetica che segue tra parentesi quadra, l’uso del segno ś per rendere la sibilante sonora (senza tener conto dei nessi automatici come sg, sb, sv) e del gruppo s-c per indicare la separazione tra la fricativa dentale e la successiva affricata palatale. In finale di parola -ch e -gh indicano le occlusive velari rispettivamente sorda e sonora, mentre -c e -g rappresentano le affricate palatali. Si è badato, inoltre, a fornire l’indicazione dell’apertura o della chiusura di o e di e, quando risultino toniche, tramite l’apposizione dell’accento grave od acuto. Le turbate -ü- e -ö- sono da considerarsi toniche se non compaiono altri accenti nella parola che le contiene. Di seguito vengono poi citate le attestazioni tramandate dalle fonti scritte, precedute dalla data del documento attestante e seguite dalla sigla, tra parentesi tonda, del documento, del fondo o, comunque, dell’opera a stampa di provenienza. I toponimi non più viventi sono scritti, in esponente al rispettivo lemma, in carattere corsivo maiuscolo. L’asterisco * che precede alcune parole indica una base etimologica ricostruita e, pertanto, non attestata.
Abbreviazioni:
a.a.ted. antico alto tedesco
ablat. ablativo
acc. accusativo
accr. accrescitivo
agg. aggettivo
ant. antico
berg. bergamasco
bresc. bresciano
casal. casalasco
cfr. confronta
class. classico
cogn. cognome
crem. cremonese
cr.sco cremasco
declin. declinazione
denom. denominale, denominativo
deriv. derivato, derivazione
deverb. deverbale
dial. dialetto, dialettale
dim. diminutivo
femm. femminile
franc. francese
gent. gentilizio
germ. germanico
got. gotico
lat. latino
lomb. lombardo
longob. longobardo
masch. maschile
mant. mantovano
mediev. medievale
n. numero
part. pass. participio passato
pers. personale
pl. plurale
preced. precedente
s.v. sub voce
sett. settentrionale
sing. singolare
sost. sostantivo, sostantivato
sott. sottinteso
suff. suffisso
terr. territorio
vd. vedi, vedere
vc. voce
volg. volgare
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